giovedì 5 aprile 2012

Riflessioni sul rapporto Stato-Camorra

Prima di parlare di Camorra, dobbiamo necessariamente disporre almeno di una definizione oggettiva sul quale basarci. Secondo lo "Zingarelli", la Camorra è un' "associazione della malavita napoletana, nata sotto gli spagnoli e affermatasi nell'Ottocento, molto potente e organizzata secondo rigorose leggi gerarchiche". Scopo di quest'articolo non sarà di ripercorrere la storia di quest'organizzazione, talvolta oscura e ingarbugliata, perciò il sottoscritto ignorerà la discutibile sintesi sull'origine della Camorra data dal dizionario, figlia di una cultura obsoleta, contorta e contaminata (basta solo riportare che la parola ha origini sconosciute, risalenti, circa, al 1861. Ma tu guarda che caso...). Vorrei soffermarmi più sull'influenza che ha questo fenomeno nelle nostre vite, sulla diffusione e la reale potenza di quest'organizzazione e come fare per eliminarla.

Oso sperare che nessuno dei miei eventuali lettori crederà alla frottola, incoraggiata sia dall'anomala destra a trazione leghista che dalla sinistra radicata nelle frazione tosco-emiliana, che la Camorra non ha trovato spazio nell'onesta e pulita finanza del Nord, che nessun camorrista abbia avuto l'ardire di varcare le "Colonne d'Ercole" del Tevere, intimorito da una frazione d'Italia efficiente e incorruttibile e che quei pochi delinquenti presenti nelle periferie di Torino e di Milano siano tosto soffocati da un senso di onestà collettiva, tanto abbondante al Nord e tanto scarseggiante al Sud. Il superamento di questa barriera architettonica, costruita sulla sabbia bagnata, è già a metà strada dalla risoluzione del problema. Badate bene, intendo superata per davvero, dal punto di vista mentale, il che non vuol dire blaterare prediche di mal comune, citando confusamente Saviano e Borsellino, per fare i radical-chic "libertari e ugualitari di sinistra", per poi, appena si sente una notizia, riciclata tra l'altro, di un arresto a Palermo o Reggio Calabria, pensare tra sé:"Ma tu guarda, i soliti terun..."

E' innegabile, però, che i quartieri più degradati e rovinati si trovano nelle periferie delle metropoli meridionali. Ad una prima analisi superficiale, si potrebbe concludere che la Camorra esista sono a Palermo, a Catania,a Napoli, a Bari, a Cosenza. E' una visione condivisa dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica e politica, quasi quasi anche nelle stesse città citate. I napoletani, ad esempio, sono davvero convinti di abitare in una sottospecie di "decimo cerchio" dell'Inferno, il cui ingresso si trova occultato nella "selva oscura" delle Vele di Scampia, e poco importa, ad esempio, se l'Accademia di Filosofia degli USA ha constatato che i bambini di quel luogo compongono i migliori ragionamenti epistemologici d'Italia o che la raccolta differenziata è superiore al 70%, proprio lì, nella conca di Lucifero, nell'Inferno dell'Inferno, ove colui che entra deve lasciare ogni speranza di uscirne nelle stesse condizioni con le quali è entrato. Nonostante questo, rimarranno sempre feccia agli occhi di tutti; i palermitani sono davvero convinti di abitare in un universo verghiano in cui la loro triste realtà, derivata da cause millenarie, innata, immutabile ed eterna, e qualsiasi tentativo di cambiare porterà solo un peggioramento delle cose. E loro sono davvero convinti che la loro "Casa del Nespolo" sia situata in qualche vicoletto ombroso e terribile dello Zen, e poco importa se Palermo è una delle città con più scontrini rilasciati d'Italia. Nonostante questo, rimarranno sempre feccia agli occhi di tutti.


Ho portato alla luce questi due esempi per illustrare il senso di inferiorità in cui vigono le popolazioni meridionali. Ed è molto importante per spiegare gli stereotipi alterati delle città del Sud e confrontarli con quelle del Nord, la cui immagine è spesso anche gonfiata rispetto alla realtà, in meglio s'intende. E, oltre al danno, la beffa: come si possono difendere luoghi disprezzati, all'apparenza, anche dai loro abitanti stessi? Ho voluto dilungarmi su un tema estraneo, apparentemente, alla vicenda. Ho scritto queste righe per cercare di spiegare che quartieri come Scampia e lo Zen, associati comunemente ad una diffusione camorristica pari al 99,9%, siano, in realtà, un fallimento dello Stato. I residenti di simili quartieri, invisibili per lo Stato, nemici giurati delle istituzioni, hanno passato (e passano) decenni, forse secoli, a vedersi rinfacciare le cause di un simile abbandono, fatto passare per giusto: chi vorrebbe perdere tempo con dei rifiuti umani come loro? E chi non ne può più di vivere in tali condizioni, stanchi delle continue mortificazioni, si trovano di fronte a una scelta: emigrare con l'indelebile etichetta di meridionali o abbracciare le forti e sicure spalle della Camorra.

Così come dopo una delusione amorosa è più probabile avere una relazione pericolosa, col primo che capita, i cittadini distrutti dal pregiudizio storico, rifiutati dallo Stato così come un padre rifiuta un figlio quando questi è nato da uno stupro, sono segnati dalla brutale crudezza delle loro vite e, per non soccombere, sono costrette a gettarsi tra le braccia del loro, apparente, salvatore. Sì, perché la Camorra è una sicurezza, una salvezza. La Camorra non è altro che uno Stato alternativo e, per certi versi, anche più efficiente: garantisce un futuro a dei ragazzi (capita a fagiolo la notizia del boss Setola che assumeva i laureandi), garantisce una protezione economica se si rispettano determinate regole, garantisce anche dei servizi migliori e addirittura un piano pensionistico (cosa che lo Stato ha praticamente eliminato); la Camorra è uno Stato più materialista e meno sofisticato: se fai uno "sgarro" alla Camorra finisci decapitato (se tutto va bene), se lo fai allo Stato ti ritrovi senza lavoro, con una vita distrutta, o in un carcere-lager; i boss di Camorra non sono eletti da nessuno e vige la legge del più forte, come nei branchi di animali quando muore il capo. I Capi di Stato sono,nella teoria, eletti dal popolo (questa fantomatica figura), ma, nella pratica, comanda sempre la solita Casta; entrambi hanno gerarchie da rispettare, segreti da mantenere, agiscono nell'ombra. Non si contano più gli abusi da parte di entrambi: blitz nei negozi, pizzi e tasse, Equitalia e strozzini, carabinieri e clan (tutt'e due fortissimi con i deboli e debolissimi con i forti), l'uno con sigarette, alcol e gioco d'azzardo, l'altro con la droga hanno distrutto migliaia di vite e di famiglie, e la lista sarebbe ancora molto lunga. La Camorra e lo Stato cono due facce identiche della stessa medaglia che siamo costretti a portare al collo.

Ci sono moltissime persone, più di quanto pensiate, che si ribella, che denunciano, che si costituiscono, pentiti, da ex camorristi. E costoro vengono protetti con programmi a dir poco inadeguati. Nemmeno i giornali, ormai, si danno più la pena di riportare la notizia. Il sacrificio di costoro, quindi, rimarrà fine a se stesso. E varrebbe la pena rovinarsi l'esistenza, mettendo a serio repentaglio la vita propria e dei propri cari, per un'organizzazione altrettanto criminale che non ti vuole, ti è ostile, ti discrimina e, quando giuri fedeltà, ti abbandona per l'ennesima volta? Rispondete con sincerità, almeno nei vostri cuori. Mi piacerebbe sapere cosa risponderebbero quei saccenti (gran parte del Nord) che rimprovera le popolazioni di non sapersi ribellare o che esortano i meridionali al cambiamento (come se da loro la Camorra non ci fosse) e dichiara, urlando sconclusionatamente, guerra alle mafie. Quella gente non ha capito nulla e le loro labbra si muovono di gran lunga più velocemente del loro minuscolo cervello. Vorrei vedere questi pseudo-comunisti, questi sputasentenze, questi leghisti affiliati alla 'ndrangheta, questi razzisti, questi rivoluzionari da iPhone e iPad, questi guerriglieri con i pannolini cosa farebbero in tali condizioni. Sono certo che venderebbero persino la propria madre, e le loro parole andrebbero in frantumi come una bottiglia vuota.

Non c'è da stupirsi, quindi, se la presenza di affiliati alla camorra al Sud in generale e, in particolare, in simili luoghi, non accennano a diminuire. Le manifestazioni di studenti, di volontari, di circoli culturali che rifiutano la Camorra sono all'ordine del giorno a Palermo e a Reggio Calabria. Quasi nessun giornale ha dato spazio a movimento anti-'ndrangheta calabresi come "Io sono Fabrizio" e "Adesso ammazzateci tutti"; le minacce di morte al magistrato barese, al blogger siciliano e al giornalista napoletano sono frequentissime e sempre ignorate da uno Stato che non ha alcun interesse a salvaguardare una fetta di popolazione così volenterosa, così generosa e coraggiosa, anche a costo di danneggiare se stesso. Pensate un po' cosa sarebbe l'Italia ora, quali fasti avrebbe raggiunto, se il Sud fosse trattato come parte integrante del Paese e non come una colonia, come il solito limone da spremere. Ma, per cause che trovano radici nella pigrizia, nella stupidità, nella cattiveria e nell'egoismo, si vuole mantenere costante lo status quo di una parte del Paese, si vuole andare avanti con l'inculcamento che al Sud la Camorra è diffusa per senso di pigrizia, di sfrontatezza, di disonestà, di repellenza alle regole e alla civiltà degli abitanti stessi. Si omettono, volutamente, le colpe dello Stato (con un vero e proprio atto camorristico) e si abbandona simili luoghi alla Camorra (vero e proprio atto statale).


Il mio discorso, ovviamente, descrive le condizioni di un ambiente che non sarebbe fuori posto in un racconto di Victor Hugo. Sono scenari di miseria (che è cosa ben diversa dalla povertà) nella quale il Sud è stato gettato e mai voluto aiutare. Simili denunce, purtroppo, risultano, agli occhi dell'opinione comune, sovversive, portatrici di una teoria nuova, ignota, inaspettata, che non sono sicuri di poter accettare facilmente. In simili scenari, la Camorra spadroneggia indisturbata con responsabilità notevoli (e notevolmente nascoste) dello Stato. I cittadini, nella maggior parte dei casi, lottano, cercano di ribellarsi. Le manifestazioni sono grida d'aiuto sistematicamente ignorate e, quindi, nemmeno prese in considerazione dalla Camorra, a piena conoscenza della loro innocuità. In estrema sintesi: la miseria e la delinquenza, spesso, a livello sociale, coesistono; il povero dovrebbe essere aiutato, invece lo Stato lo incolpa, attribuisce questa miseria ai miseri stessi: lo sua tesi è "la colpa è loro che, per pura disobbedienza, diventano camorristi, è colpa loro se sono così poveri, nonostante si sia fatto di tutto per aiutarli".

Ovviamente, non è solo questo lo scenario tipico camorrista. Ci sono anche camorristi che aderiscono per senso di impotenza, di avidità, di pura disonestà: un imprenditore che ha bisogno di aiuto per coprire i suoi affari sporchi, un politico che necessita di voti per salvaguardare la propria fedina penale non proprio immacolata (ogni riferimento è puramente casuale), il prepotente che ha bisogno di un "teatro" per inscenare le proprie frustrazioni. Costoro sono "semplici" delinquenti, degli esseri inferiori ed insignificanti la cui pena dev'essere esemplare. Hanno poco a che fare con la camorra in quanto solo un mezzo per propagare la propria disonestà, e se non ci fosse la Camorra, avrebbero usato un altro espediente. E questa è la Camorra che trova maggiormente spazio al Nord. Nelle città settentrionali accadono esattamente le stesse modalità di Napoli, di Palermo e di Taranto: pizzi, racket, far west e regolamenti di conti. Eppure non esiste una Scampia fiorentina o uno Zen torinese perché non esiste alcun motivo, né sociale, né storico, né politico per giustificare la massiccia presenza di Camorra al Nord. Sono tutto fuorché abbandonati. I camorristi del Nord, in combutta con lo Stato, non vengono discriminati da nessuno, sono al centro di qualsiasi progetto governativo, dalla distribuzione dei fondi alle riparazioni per malapolitica e corruzione.

Non sussiste la scusante dell'abbandono da parte dello Stato perché loro sono lo Stato, né dalle istituzioni, loro alleate. né dai media che si sperticano in lodi anche per la più piccola sciocchezza e che elevano al cubo i loro lati positivi. E poco importa se le più grandi truffe, rapine, estorsioni e scandali sono stati fatti dalle mafie del Nord, forti di capitali inesistenti al Sud: l'appellativo "mafioso" sarà sempre prerogativa meridionale. Nonostante a Napoli, ad esempio, si svolga una manifestazione anti-Camorra con la stessa frequenza con la quale si chiede il pizzo a Milano, sarà sempre quest'ultima ad essere "la capitale morale d'Italia", "la capitale della Finanza" e "la capitale della moda" e Napoli "la capitale della monnezza", "la capitale della mafia" e "la capitale del pizzo". E in questo consiste la differenza sociale tra Nord e Sud.


Per tale motivo non possono esistere aree degradate al Nord (grossomodo), ma, semmai, aree povere o periferiche, come esistono dappertutto. Si ha la conferma di tutto ciò all'estero. Le mafie più influenti si trovano, guarda caso, in Slovenia, in Romania, in Albania, in Cina, in Russia e in tanti altri Paesi, specie dell'Est Europa, provenienti da passati molto difficili. Anche lì vigono le stesse norme. Anche in tali Paesi il cittadino viene, sovente, abbandonato, anche lì l'emigrazione, per non dire esodo, della popolazione stronca l'economia nazionale, anche lì sono costretto ad avere una spalla forte sulla quale appoggiarsi. E, non a caso, queste nazioni non crescono, non producono (eccezion fatta per la Cina, la cui oppressione vero i cittadini è riconducibile alla dittatura che vive). Ci sono nazioni, invece, come la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, in testa a qualsiasi classifica di democrazia e ai piedi di qualsiasi stima del livello di corruzione, che sono il top mondiale. Lì la camorra non esiste? Certo che sì. La Camorra è un fenomeno globale e va dove ci sono grossi patrimoni da sfruttare come una mosca viene attratta dal miele . Ma lì, la Camorra è solo, appunto, una forma di delinquenza come tante altre. E la delinquenza esiste dall'Artide all'Antartide, dalla Florida al Giappone. In questi Paesi citati, lo Stato non abbandona il cittadino, lo aiuta, gli permette una vita tranquilla, lo tutela. Il cittadino svizzero, svedese o danese non ha bisogno di rifugiarsi nella malavita quando può godere di simili protezioni. Lo Stato italiano, invece, pretende, con grande esterofilia, le tasse dei Paesi all'avanguardia, ma è irriducibilmente nazionalista sulla qualità dei servizi offerti.

E, dopo tante parole, qual è la soluzione? La soluzione non è nella "guerra civile", né, tanto meno, ci si può limitare al solo arresto dei camorristi ("morto un boss, se ne fa un altro") né possono essere considerati passi avanti le numerose manifestazioni antimafia al Sud (la Camorra conosce la loro innocuità e lo Stato non tende loro una mano, come precedentemente detto). Anzi, si arriverebbe al paradosso di creare miti, di rendere martiri quelle persone che, comunque, avevano garantito una protezione, un lavoro, una pensione a centinaia di persone, e quella gente scesa in strada per impedire l'arresto di qualche boss (fatte passare come autentici atti di mostruosità, di deplorevole sottomissione, di bestiale "terronismo", per incivile irrecuperabilità) lo dimostra. Quelle persone non avrebbero motivo di protestare se avessero qualcun altro su cui contare. Invece si sono visti privare di una persona, apparentemente, amica, loro alleato, strappata da mani ignote, sconosciute e ostili.

Dunque, qual è la soluzione a una questione tanto annosa? E' relativamente semplice: lo Stato dovrebbe colmare le lacune riempite dalla Camorra, con fatti concreti. Dovrebbe ridurre ciò che chiamiamo comunemente "tasse" ma che sono, in realtà, veri e propri pizzi per quantità, ristrettezza e rigidità di tempi; dovrebbe creare crescita economica che non vuol dire licenziare ad occhi chiusi per "motivi economici"; dovrebbe aumentare i salari per mettere in circolo più denaro in modo da far spendere di più e rilanciare l'economia (era chiaro persino a Giolitti) e non ridurre gli stipendi in modo da renderli appena sufficienti per pagare le tasse, facendo ristagnare il mercato; dovrebbe ridurre l'età pensionabile in modo da creare un continuo ricambio gnerazionale e non ridurre le pensione, aumentare l'età e rubare l'anzianità a intere generazioni (altro che Camorra!); dovrebbe incentivare le imprese, le industrie e non soffocarle ; dovrebbe puntare sul Sud: dovrebbe ripristinare le magnifiche industrie napoletane attive nel periodo borbonico, valorizzare (non rubare) le risorse energetiche della Calabria e della Lucania; dovrebbe sfruttare (non rubare) i giacimenti di gas siciliane (e, con questi due punti, mettere fine alla propria dipendenza nei confronti di Paesi esteri); valorizzare i porti di Catania, Salerno, Gioia Tauro, ridare industrie a Cosenza, incentivare il turismo pugliese, l'olio della Basilicata, i vini della Campania, l'export molisano.

Questa è solo una piccolissima parte del lavoro che bisognerebbe fare. Bisogna puntare e investire definitivamente sul Meridione, come la Germania Ovest puntò e investì sulla disastrata Germania Est dopo il crollo del Muro di Berlino. Il Sud è una terra di immense e illimitate potenzialità, di ricchezze sfruttate da tutti, inglesi, americani, arabi, francesi, tranne che dall'Italia che preferisce, ad esempio, la manodopera a basso costo nordafricana alla fertile agricoltura siciliana. Tutto questo per mancanza di volontà, per invidia, per una paura derivata da una parte del Paese vista come nemica e non come alleata. E si preferisce abbandonare quelle magnifiche terre alla Camorra. Date a Scampia delle fabbriche, degli spazi adeguati a lavorare e vedrete che la Camorra avrà seri grattacapi. La gente potrà lavorare come si deve, non avrà bisogno di spacciare droga per vivere. E, invece, le si abbandona di proposito, come un accordo tra due Stati: lo Stato e la Camorra sono alleati, l'uno non esiste senza l'altro. Se così non fosse, se uno dei due desse davvero fastidio all'altro, uno dei due avrebbe già dovuto soccombere. Come negli anni '70: le Brigate Rosse, Lotta Proletaria, NAP e altre organizzazioni affini non esitarono a usare bombe, a eliminare senza scrupoli chiunque, in nome dello Stato, anche in nome della sinistra, tentasse di fermarle: tempo una decina d'anni e le Brigate Rosse sono scomparse. La Camorra non si elimina perché non si vuole.

Ora, facile critica sarebbe:"E Borsellino, Falcone, Impastato che hanno dato la vita affinché lo Stato e la legalità prevalessero sulla Camorra?". Costoro furono eroi che combatterono assiduamente per lo Stato, il quale li ha traditi come al solito. Loro erano pericoli per la solidità del connubio Stato-Camorra e sono stati fatti fuori all'istante. Perciò Saviano stia tranquillo: se avesse scritto cose davvero scomode per chiunque, a quest'ora già era, abbondantemente, polverizzato, sia pure a costo di far saltare in aria tutto il suo quartiere di residenza.


"La mafia aveva bisogno dello Stato per esistere. Ora lo Stato ha bisogno della Camorra". E la Camorra serve eccome: serve per mantenere lo stato di minorità del Sud, per distruggerlo, per spremere sempre lo stesso limone, per mantenerlo in schiavitù, per ridurlo in colonia qual è. E per il povero meridionali, quindi, la distruzione continua, l'esodo non accenna a diminuire, il pregiudizio verso di loro continua, imperterrito, ad essere alimentato. Il processo da me illustrato è condannato ad andare avanti di anno in anno, ad essere tramandato di generazione in generazione, per anni, finché il nostro popolo non verrà definitivamente estinto, come lo stesso Hitler sarebbe stato incapace di fare, se non fisicamente (non che non ci abbiano provato eh...) dal punto di vista della memoria, della coscienza, dell'anima. Il meridionale che ha aperto gli occhi vive, quindi, come un guscio d'uovo vuoto. Esiste e basta, senza emozioni, senza orgoglio, senza vita. Possiamo sentirci orgogliosi di uno Stato simile? Il sottoscritto no di certo. Quindi, può darsi che la prossima volta che vedo un tricolore, il mio accendino non passi troppo lontano dalla sua stoffa, intessuta con il nostro sangue.

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