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venerdì 28 dicembre 2012

Agghiaccianti testimonianze sui "soccorsi" del terremoto di Messina del 1908

Un giovinetto sui quindici anni, bello, biondo, ricciuto, dalle fattezze delicate e che a tutt'i segni pareva di gentile lignaggio [...] s'era salvato per un prodigio e, avendo trovato una camicia e un paio di pantaloni fra le macerie, li aveva raccattati per vestirsi. Arrestato (per sciacallaggio)... andava chiamando invano "mamma! mamma!". Il buon maggiore guardò la creatura supplichevole, guardò i carabinieri accigliati [...]. Si voltò dall'altra parte e ordinò:"Fate il vostro dovere", riferisce un cronista e testimone, Giovanni Alfredo Cesareo. Fucilato!




Un vecchio si avvicinava piangendo a un gruppo di soldati "richiede d'aiuto, perché la sua figliola gemeva viva ancora sotto le macerie. Non possiamo - gli risposero: Aspettiamo il nostro capitano", riferisce Longo. E poi: "Gemeva la famiglia Borzì, sotto le macerie [...] i genitori e altri figli erano ancora in condizioni tali da poter essere salvati [...]. Un ufficiale di fanteria li sentì - li vide ed ebbe l'empio coraggio di andare oltre, mormorando: Ho da fare".


Goffredo Bellonci, del "Giornale d'Italia", racconta di "un vecchio bianco, curvo, con gli occhi aridi e un tight frusto" che "domanda ad ogni minuto", all'onorevole Micheli (uno dei veri eroi civili, di quel disastro, per quanto bene fece, al fine di risollevare le condizioni e il morale dei sopravvissuti):"Mi dà il permesso di prendere mio figlio?". Il corpo del ragazzo è sotto le macerie e il padre non vuole che imputridisca sotto la pioggia, vorrebbe almeno rispettare i resti. Ma nemmeno l'onorevole può contraddire l'ordine del generale Mazza, il vecchio rischierebbe d'essere giustiziato sul posto. Nel muto imbarazzo dell'interpellato, l'uomo continua la sua cantilena:"Mi dà il permesso, onorevole?". Il giornalista si allontana sconvolto.




"Lasciate che io riveli la miseria di questa spedizione governativa, che non ha provveduto a nulla e a nessuno [...] sono morti di inazione e di soffocazione parecchie migliaia di uomini sepolti". Il Duca di Genova arrivò a Messina tre giorni dopo il sisma, "con a bordo 3200 uomini di truppa, barelle e altra roba, scarsa sì, ma di pronto soccorso", annota Longo: ma nessuno e niente scese dalla nave, per tre giorni, perché il generale Mazza non aveva completato i suoi piani.



Un cronista narrò che i superstiti di Villa San Giovanni tentarono invano, per giorni, di attirare l'attenzione di possibili soccorritori:" Passavano navi italiane, si gridava, si tiravano fucilate: esse proseguivano. Era l'esclusione totale dal mondo dei viventi, mentre i feriti gemevano, i morti imputridivano.... Cinquecento persone di più sono morte per mancanza di soccorsi".



Fonte: Pino Aprile, "Giù al Sud".

giovedì 20 dicembre 2012

Mail inviata a Striscia la Notizia

Ho inviato questa mail di protesta all'indirizzo:

gabibbo@mediaset.it

per l'indecente drammatizzazione  effettuata ai danni dei napoletani. 

Vi invito a fare lo stesso.





Gentile Redazione di Striscia la Notzia,

Sono rimasto alquanto deluso dopo aver preso visione dello spezzone mandato in onda durante la puntata del 19 dicembre 2012 a proposito dei furti nei parcheggi al supermercato. Siete partiti con un intento nobile: mettere in guardia persone vulnerabili e ingenue, come le persone anziane, da truffatori da due soldi. E poi? Cosa è successo? Siete caduti come pere cotte sulla drammatizzazione dei suddetti furti, vi siete autoimprigionati in pregiudizi e luoghi comuni che una televisione vista da tutti gli italiani come voi non può permettersi.

Era proprio necessario far parlare in napoletano i truffatori e in milanese le vittime? Per qualche motivo avete fatto tutto ciò? Era così difficile assumere dei doppiatori con un neutro accento italiano? Io non credo ai complottismi, però sono cose che mi danno da pensare; cose che dicono che gli italiani non sono ancora tutti uguali; cose che testimoniano ancora dei tentativi di denigrazione e di diffamazione degli uni rispetto agli altri. Ripeto la mia delusione nei vostri confronti. 

Buona serata.

lunedì 17 dicembre 2012

Il decreto di Ferdinando I di Borbone sull'immigrazione del 17 dicembre 1817

Ecco il decreto promulgato il 17 dicembre 1817 da Ferdinando I sull'immigrazione all'interno del Regno Delle Due Sicilie. Anche qui il Sud era avanti anni luce rispetto alle altre nazioni anche dell'attuale Italia.


“Ferdinando I, Per la grazia di Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro, Gran Principe ereditario di Toscana”, è la sequenza dei titoli che precedono il testo della legge che, sin dal preambolo, chiarisce che a poter beneficiare della concessione della cittadinanza potranno essere solo chi è utile allo Stato: “Volendo dare un attestato della nostra benevolenza verso di quegli stranieri i quali pe’ loro talenti, pe’ loro mezzi, o per via di contratti vincoli si rendono giovevoli allo Stato, con accordar loro il godimento di quei diritti, che dalla naturalizzazione risultano …Abbiamo risoluto di sanzionare, e sanzioniamo la seguente legge”.
Nell’articolo I si precisa che “potranno essere ammessi al beneficio della naturalizzazione del nostro regno delle Due Sicilie”, nell’ordine:
1. Gli stranieri che hanno renduto, o che renderanno importanti servizi allo Stato;
2. Quelli che porteranno dentro lo Stato de talenti distinti, delle invenzioni, o delle industrie utili;
3. Quelli che avranno acquistato nel regno beni stabili, su i quali graviti un peso fondiario almeno di ducati cento all’anno.
Al requisito indicato né suddetti numeri 1, 2, 3 debbe accoppiarsi l’altro del domicilio nel territorio del regno almeno per un anno consecutivo.
4. Quelli che abbiano avuta la residenza nel regno per dieci anni consecutivi, e che provino avere onesti mezzi di sussistenza; o che vi abbiano avuta la residenza per cinque anni consecutivi, avendo sposata una nazionale.

lunedì 3 dicembre 2012

Il manifesto di Donatella Galli NON è un fake

Ha fatto il giro del web questo manifesto apparso dopo il commento della leghista Donatella Galli su Facebook in cui inneggiava al Vesuvio, all'Etna e al Marsili per far scomparire il Sud:




Arriva pronta la rettifica della diretta interessata, minacciando anche battaglie legali contro chi ha preso la sua foto, modificata e distribuita. Non voglio entrare nel merito delle frasi, considerate vergognose e inqualificabili  da chiunque sia sano di mente e con un briciolo di cultura e umanità. Ma si è davvero certi che questo sia un "fake"?

Analizzando ogni frase del manifesto si ottiene tale riscontro:
  • Io sono una BASTARDA leghista e me ne vanto: frase che non sorprende nessuno che conosca bene la Lega, anzi, in piena sintonia con il linguaggio rozzo intrinseco nell' "ideologia" leghista;
  • Voglio che il Vesuvio e l'Etna facciano una strage di meridionali: su Facebook, sotto l'immagine satellitare ritoccata di un'Italia senza il Sud, commentò:"Forza Etna, forza Vesuvio, forza Marsili". Il commento è veritiero, concreto e verificabile al 101%, quindi non c'è proprio nulla di falso;

  • I meridionali per me come erano gli Ebrei per Hitler e vanno messi nei forni: questa è l'affermazione che più potrebbe far riflettere: sarebbe un vero suicidio politico-giudiziario inneggiare Hitler e alla Shoa in un manifesto pubblico. Una volta che il sangue sia defluito dal cervello, si potrebbe ragionare e perdere la fede dell'autenticità del manifesto. Vorrei, però, ricordare che stiamo parlando della Lega, partito anticostituzionale, palesemente xenofobo e razzista che siede in Parlamento in barba a qualsiasi norma civile, morale, culturale e giuridica. Inoltre, da un partito che pubblicò un manifesto (autentico al 100%) come quello riportato a fianco, ci si può aspettare di tutto: 





In conclusione:

Dov'è il falso? Dove sono le bugie? Si può dire che non l'ha creato di proprio pugno e di non spontanea volontà, ma i medesimi concetti sono stati ribaditi numerosissime volte sia da lei che dai suoi colleghi. L'affermazione riguardate Hitler è anch'essa veritiera in quanto solo una diretta conseguenza delle sue parole.























venerdì 30 novembre 2012

La diffidenza e il pregiudizio Piemontese descritti anche nel Gattopardo


La concezione del Sud posseduta da chi pretende di essere chiamato patriota, la freddezza, la diffidenza, il pregiudizio degli "illuminati governatori", degli "amanti della libertà" piemontese è ben descritta in molti testi e in molti documenti. Nella varia letteratura, vorrei farvi leggere questo estratto del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa:



"La corriera giunse sul far della notte con la sua guardia armata a cassetta e con lo scarso carico di volti chiusi. Da essa discese anche Chevalley di Monterzurolo, riconoscibile subito dall'aspetto esterrefatto e dal sorrisetto guardingo; egli si trovava da un mese in Sicilia, nella parte più strenuamente indigena dell'isola per di più, e vi era stato sbalzato dritto dritto dalla propria terricciuola del Monferrato. Di natura timide e congenitamente burocratica si trovava molto a disagio.

Aveva avuto la testa imbottita da quei racconti briganteschi mediante i quali i Siciliani amavano saggiare la resistenza nervosa dei nuovi arrivati e da un mese individuava un sicario in ciascun usciere del proprio ufficio ed un pugnale in ogni tagliacarte di legno sul proprio scrittorio; inoltre, la cucina all'olio aveva da un mese posto in disordine le sue viscere.

Adesso se ne stava lì, nel crepuscolo, con la sua valigetta di tela bigia e guastava l'aspetto privo di qualsiasi civetteria della strada in mezzo alla quale era stato scaricato; l'iscrizione "Corso Vittorio Emanuele" che con i suoi caratteri azzurri su fondo bianco ornava la casa in sfacelo che gli stava di fronte, non bastava a convincerlo che si trovasse in un posto che dopo tutto era la sua stessa nazione;

e non osava rivolgersi ad alcuno dei contadini addossati alle case come cariatidi, sicuro di non essere compreso e timoroso di ricevere una gratuita coltellata nelle budella sua che gli erano care benché sconvolte. [...]


A cena mangiò bene per la prima volta da quando aveva toccato le sponde sicule, e l'avvenenza delle ragazze, l'austerità di Padre Pirrone e le grandi maniere di Don Fabrizio lo convinsero che il palazzo di Donnafugata non era l'antro del bandito Capraro e che da esso sarebbe probabilmente uscito vivo; ciò che più lo consolò fu la presenza di Caviraghi che, come apprese, abitava lì da dieci giorni ed aveva l'aria di star benissimo ed anche di essere un grande amico di quel giovanottino Falconieri, amicizia questa tra un siciliano ed un lombardo che gli apparve miracolosa"

lunedì 22 ottobre 2012

Email inviata all'Odg del Piemonte per chiedere la radiazione di Giovanni Amandola

Ho invitato questa email all'Ordine dei Giornalisti del Pimonte. Vi invito a farlo anche voi all'indirizzo info.ordine@odgpiemonte.it



Buonasera,

sicuramente non sono l'unico che vi scrive per discutere del medesimo argomento; di certo avete avuto tutto il tempo di esaminare l'accaduto. Non occorre che mostri altri video che riprendano la vergognosa gaffe di Amandola. 

Credo, però, che i primi ad essere danneggiati, alla fin dei conti, siate voi, dell'Odg Piemonte. Di sicuro, il vostro collega è solo una mela marcia in una rispettabile cassetta, come accade dappertutto. Non volete far sì che questa "macchia" venga lavata? Non considerate offensivo, anche e soprattutto per la vostra categoria, che un tale frustrato condivida la nomea di giornalisti con eroi del calibro di Giancarlo Siani e, anche se non propriamente, Peppino Impastato?

La Rai già se n'è lavata le mani sospendendolo, voi fate di più: radiatelo dal vostro Ordine. C'è tanta brava e operosa gente finita disgraziatamente licenziata per inezie; non posso credere che la stessa sorte non la condivida lui che se la merita più di chiunque altro. 

Io vorrei ricordarvi due avvenimenti:

1) Le Guerre Jugoslave iniziarono proprio in uno stadio. Onde evitare di finire come in quei tragici giorni, bloccate sul nascere certi cori idioti e date un segnale forte, una punizione esemplare, che serva d'ammonimento a tutti i facinorosi, agli ignoranti e ai violenti invitandoli a scaricare le proprie frustrazioni altrove e in altri contesti. Questo sarebbe un grande passo avanti per un'Italia unita e migliore.

2) Tenete presente questa norme del Codice Penale:  Art. 595 del Codice Penale:
« Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate. »

Il minimo che possiate fare è una radiazione. Fatelo per voi stessi e per tutti gli abitanti dell'Italia.

Grazie per l'ascolto

sabato 13 ottobre 2012

Ecco la mail spedita dal sottoscritto per protestare contro Mimmo Pesce, pupazzo anti-napoletano di 7Gold

Ecco la la mail spedita dal sottoscritto per protestare contro Mimmo Pesce, il pupazzo anti-napoletano creato da 7Gold. Vi invito ad imitarmi scrivendo a direttastadio@7gold.tv.




Gentile Redazione,

Non sono un appassionato della vostra trasmissione, ma non disprezzo qualche video preso a caso dal web per fare due sane risate sulla follia del tifoso medio italiano. I commentatori-tifosi della vostra trasmissione sono naturali, sono genuini, spontanei, anche divertenti. E non capisco perché questa norma non debba essere estesa anche al Napoli.

Veda, io non sono tifoso acceso del Napoli, ma solo un profondo amatore della Storia e della Cultura del Sud Italia intero e, quando gioca il Napoli, gioca la mia Capitale e la sua rappresentanza. Come al solito, appena si tocca il Sud (in questo caso la sua squadra più famosa, forte e titolata) si prescinde da qualsiasi valore sportivo e si sfora nel sociale e, nel 90% dei casi, nel razzismo assolutamente  fuori luogo. Un emblema che dimostra la veridicità delle mie parole è il "tifoso" del Napoli che avete ingaggiato in studio, tale Mimmo Pesce. Ho ragione di credere che costui sia un burattino creato ad hoc per screditare la Storia e il Popolo di Napoli, già sufficientemente martoriati dalla storiografia ufficiale fascio-savoiarda e dalle televisioni. 

Posso dire che nessuno (e, ripeto, NESSUNO) dei tifosi del Napoli con i quali ho assistito ad una partita sia così forzato e strambo nei movimenti e nelle esultanze. Per non parlare del peperoncino, delle cornucopie e degli altri oggetti scaccia-jella presenti della cultura napoletana, ma qui banalizzati e sdoganati secondo ogni parametro stereotipato, per soddisfare ogni cliché possibile. Se a questo, poi, aggiungiamo che il "tifoso" del Napoli sia l'unico che si alza, urli, crei scompiglio in studio come un giullare alla corte di un re deviato, allora lasciatemi dubitare della buona fede sia vostra che sua.

"I soldi fanno tornar la vista ai ciechi" si dice dalle mie parti e mai occasione fu tanto adeguata ad esprimere un proverbio. Costui non conosce niente né di Napoli né del Napoli; si è calato le braghe inanzi ai forti poteri (del Nord), ha venduto la sua Tradizione, la sua Cultura e la sua Storia per trenta denari (ma la cifra intascata sarà senz'altro molto più elevata ) e voi avete alimentato e aizzato questo ascaro. Io non voglio assolutamente sforare dal tema calcistico (come fate voi) e decido di fermarmi qui e risparmiarvi la storia della denigrazione ai danni dei napoletani che si protrae dai tempi di Ferdinando II di Borbone. 

Però ho bisogna di fare una richiesta: torniamo a parlare di calcio. Lasciamo stare il resto. La vostra è una trasmissione calcistica e non ha alcun diritto di offendere e denigrare la storia mia e del mio popolo. Vi state comportando come la peggior diffusione cortigiana di regime, siete uno strumento in mano ai padroni per ridicolizzare e attentare alla dignità del nemico. Cortesemente, dite a Mimmo Pesce di darsi una calmata e di comportarsi come tutti gli altri in studio. Cortesemente, fermate questo pupazzo.

Grazie per l'ascolto.

mercoledì 3 ottobre 2012

Cori razzisti allo stadio? La colpa è di chi non denuncia

Come è noto a chiunque segua il calcio con una certa costanza, negli stadi si verificano ripetuti e ignorati episodi di razzismo. Ne sono vittima i "classici" neri e ebrei. Ma, oltre queste categorie "antiche", se n'è aggiunta un'altra: i meridionali.

Non mi scandalizzo; il razzismo anti-meridionale è stato il leitmotiv dell'unificazione italiana, le cose sono andate peggiorando nel corso di questi (ormai) 152 anni e non mi aspetto che un luogo frequentato generalmente da gente di ceto medio-basso venga esentato o risanato di punto in bianco.

Tuttavia, ci sono delle disparità, è in corso un vero e proprio complotto, così lapalissiane che è impossibile non spenderci qualche riflessione. Tutto il razzismo anti-meridionale viene vomitato, calcisticamente parlando, per la stragrande maggioranza sul Napoli, squadra di gran lunga più prestigiosa, più famosa e più forte di tutto il Sud.

Qualsiasi trasferta fatta dal Napoli da Roma in su (ho notato che ci sono casi anche all'interno stesso del Sud, ma non lo considero razzismo: è nient'altro che la Pura Essenza della stupidità, del provincialismo, della schiavitù soggiogata loro dai poteri nordisti che mirano a creare zizzania all'interno dei propri sudditi; una tristissima lotta tra poveri sulla quale non mi vorrei attardare maggiormente) è costellata da feroci striscioni e violenti cori, le cui parole non pronuncerò certo qui per non insozzare il blog. Sarà sufficiente, per chi desidera approfondire l'argomento, un giro per il web.

Il fenomeno è diventato abbastanza frequente da una ventina d'anni a questa parte e da allora non accenna a diminuire. Come un erbaccia che prolifera in una condizione di abbandono, questi episodi sono diventati ormai una consuetudine e nessuno (ripeto, nessuno) tra televisioni e giornali segnala i fattacci, né creano una campagna di sensibilizzazione. Solo alcune trasmissioni radiofoniche e siti internet (ma, ultimamente, si sono assuefatti anche questi) dedicati al Napoli ne parlano, oltre, ovviamente, i movimenti e blog meridionalisti (come quello di Angelo Forgione) che denunciano incessantemente il tutto.

Intendiamoci (inutile fare moralismo) : lo sfottò, in una logica di stadio ci sta benissimo. Ma, francamente, vedersi augurare una nuova eruzione del Vesuvio o una nuova epidemia di colera, mi pare un po' troppo.

Le televisioni tacciono, i giornali idem, il giudice sportivo è solo un ignobile razzista che punisce il Napoli per legittimi fischi all'inno con un atto incostituzionale e autarchico, e sorvola, chiude gli occhi e si tappa le orecchie ogni domenica. Vero, ma il cuore della questione è ciò che ho detto poc'anzi: le mancate denuncia da chi di dovere.

Ricordo il Governatore Enrico Rossi schierarsi in prima linea a difesa della sua terra quando una filiera annunciò che non sarebbe mai più tornata in Toscana; ricordo il portiere giapponese di una squadra francese uscire dal campo per proteste dopo aver udito i cori avversari inneggianti Fukushima; ricordo l'ex-giocatore nero del Messina, Zoro, prendere il pallone e uscire dal campo in risposta ai 'buuh' razzisti; ricordo il polverone sollevatosi per Balotelli.

Tutti questi episodi derivano da una denuncia dei diretti interessati: le associazioni ebraiche effettuano una sorveglianza costante di web e televisioni per denunciare insulti nei loro confronti. Perché i meridionali (in questo caso, i napoletani) non agiscono nella stessa maniera? Se questi episodi ci sembrano tanto gravi, eppure nessuno denuncia, nessuno dice una parole, perché dovrebbero smettere? Fossi al loro posto, penserei legittimamente che, evidentemente, non costituisce loro una grave offesa. Per cui vado avanti. E lo esporto all'estero (vedi Liverpool dell'Europa League di due anni fa): nessuno in Italia ha mai detto una parola, perché dovrebbero dirmi qualcosa all'estero? Evidentemente, non è un insulto, per loro.

E come mai vige quest'omertà, questo disinteresse? Dove sono i rappresentati di e del Napoli? Dov'è De Magistris, il sindaco? Dov'è De Laurentiis, il presidente del Napoli? Dov'è Paolo Cannavaro, napoletano, il capitano? Sono sordi? Sono ciechi? Sono strafottenti? Direi che la terza opzione sia la più probabile.

I primi complici dello scempio che avviene quasi ogni domenica sono i napoletani stessi. E sono loro gli artefici di questa denigrazione. Nietzsche diceva che non impedire che un male evitabile avvenga equivale a commetterlo. Il rispetto è un diritto acquisito solo nel linguaggio della retorica. Il rispetto va guadagnato, sempre.



giovedì 30 agosto 2012

Tre petizioni che un meridionale che si rispetti non può non votare

La Storia dice che l'Unità d'Italia fu un'allegra festicciola al quale si permise a chiunque di parteciparvi e di portare da bere. Ma non fu così. O meglio, lo fu nella stessa misura in cui lo fu l'invasione Sovietica in Ungheria o la nazista in Polonia. Ma, a differenza delle altre due invasioni, degli altri due eccidi, i Meridionali sembrano non aver diritto nemmeno ad una Memoria.

Il milione (approssimando per difetto) di meridionali uccisi nel periodo di unificazione italiana e i 10 anni seguenti e gli innumerevoli altri costretti ad emigrare da ogni parte del mondo dicono che il nostro popolo non ha nulla da "invidiare" agli ebrei o agli ungheresi. Affinché questo gap venga colmato una buona volta, vi invito a firmare questa petizione per instaurare un Giorno della Memoria per i martiri meridionali caduti nel Risorgimento. In tal modo, faremo grossi passi avanti per la morte dell'Italia-colonia e la nascita della vera Italia unita. La petizione è la seguente:



Vi ricordo anche l'appello di Articolo 21 per la salvaguardia dell'Istituto degli Studi Filosofici di Napoli, il più importante del mondo, messo sotto sfratto, tagliato da parte a parte dalla feroce dittatura nordista di Monti, i cui libri versano in uno stato di profondo degrado in un capannone di Casoria, desolata e squallida.




Vi ricordo, inoltre, di votare Napoli, in qualità di unica città meridionale superstite, per farla entrare nelle città meraviglia del mondo. I primi 7 riceveranno l'ambito titolo.

VI RICORDO DI:
  1. Votare con più indirizzi email possibili.
  2. Votare NECESSARIAMENTE 7 città (se non avete idea, scegliete a caso).
  3. Si può votare NON PIU' di una città per nazione
  4. CONDIVIDERE CON OGNI MEZZO POSSIBILE. Abbiamo tempo fino a dicembre.
SI VOTA QUI
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mercoledì 6 giugno 2012

I 5 motivi per cui "Un Poeta per Amico" ha ucciso di nuovo Massimo Troisi

  1. SPUTTANAPOLI. La serata inizia subito col piede sbagliato. Si parte con un frammento di pochi secondi di uno sketch di Troisi in cui esclamava:"Nuje a Napule stamme 'nguaiate". Frase che, estrapolata dal contesto creato da Troisi, isolata dal suo discorso, lascia intendere cose pensate nemmeno lontanamente da Massimo. E poi, proprio quando credi che sia tutto frutto della tua immaginazione, quando credi che sia l'apice della tua paranoia, che sia tutta causa dei continui stimoli socio-politici a trovare l'insulto ovunque, ecco che si inizia a parlare di camorra. Perché? Cosa diamine c'entra la camorra in una serata dedicata ad omaggiare Massimo Troisi? Quei video di magistrati, di persone che lottano la camorra, sono assolutamente fuori luogo in una serata come quella che avrebbe dovuto essere. E allora capisci che uno dei leitmotiv della serata è quello di gettare un altro po' di fango su Napoli.
  2. PERCHE'? E' quello che mi sono chiesto durante tutta la serata. Cosa c'entrano personaggi del tutto estranei a Massimo Troisi come Massimo Ranieri? James Senese? Alessandro Siani? Non hanno alcun nesso questi personaggi, escludendo il fatto che sono napoletani tutti e tre. E allora uno vale l'altro? Qualsiasi napoletano può essere chiamato a omaggiare artisticamente Massimo Troisi? E cosa c'entra Imagine di John Lennon cantata in apertura? John Lennon stesso che legame ha con Massimo Troisi? E Fabrizio De André? E Giorgio Gaber? Tutti grandissimi artisti, giganti dell'arte e della musica, ma che proprio non c'entrano nulla in un omaggio a Massimo Troisi. Hanno messo decine di giganti in un calderone tentando di fare un purè, ma nessuno si è amalgamato, anzi, tutta la mancanza di idee e raffinatezze degli ideatori è venuta clamorosamente fuori.
  3. FILLER. E' proprio l'impressione che mi ha dato. In italiano suonerebbe con lo sgradevole suono di "riempitore". E' una tattica usata da molti registi per creare delle scene di vita quotidiana o dai creatori degli anime giapponesi per "allungare il brodo". Consiste, appunto, di creare delle scene senza alcun nesso con la trama originale senza, tuttavia, alterarla. Ma qui si doveva creare una serata appositamente per Troisi, non si doveva appiccicare alla bell'e meglio un'accozzaglia di attori e cantanti per restituir loro notorietà e per far diminuire la consistenza del mio portafoglio. Il tutto è solo parzialmente giustificato dalla presenza di due iniziative importanti per i terremotati dell'Emilia e per i bambini poveri malati di cuore. Capisco dare risalto a queste beneficenze, ma non siamo alla Partita del Cuore e, attirare persone col solo nome di Massimo Troisi è al tempo stesso scorretto, geniale e lodevole.
  4. E MASSIMO DOV'E'? In tutta questa centrifuga di artisti, cantanti e ospiti quanto credete che si sarà parlato di Massimo Troisi? Quanti minuti dei suoi film e dei suoi sketch si saranno visti in tutta la trasmissione? Chi dice che, tutte insieme, non superavano la mezz'ora ha ragione. Condoglianze a chi crede che hanno fatto venire un'indigestione di Troisi a forza di interviste e filmati. Da denunciare per truffa.
  5. STUPIDO ME. Sì, stupido me, stupidi noi che credevamo che l'informazione italiota avrebbe abbattuto le barriere architettoniche del pregiudizio e del razzismo innanzi un artista di tal calibro, stupido me che su Twitter ho scritto un commento beffardo nei confronti di chi guardava "Mammoni" su Italia 1, convinto di assistere ad uno spettacolo di indimenticabile caratura e cultura. Stupido me che ho dato fiducia alla Tv di regime che tiene in scacco noi meridionali.

mercoledì 23 maggio 2012

Martedì 22 maggio 2012: Napoli multato per fischi all'inno. Siamo tornati indietro di quasi 80 anni.

C'è stato un periodo, in Italia, in cui non c'era nemmeno libertà di poter camminare. E' venuto un buio periodo, compreso, circa, tra il 1925 e il 1945, in cui erano vietate manifestazioni che fossero contrarie alle direttive di regime: i giornali che criticavano, in qualsiasi modo, il governo venivano chiusi e gli autori imprigionati. E' venuto un periodo, in Italia, in cui esisteva la leva obbligatoria e bisognava partire per guerreggiare in terreni di cui nessuno aveva mai udito parlare. E' venuto un periodo in cui bisognava esporre le bandiere italiane e cantare l'inno come un religioso malato intonerebbe una preghiera.

Oggi, maggio 2012, la prima condizione è mutata: non si imprigionano i dissidenti, ma li si emargina indirettamente. Il secondo è rimasto immutato, tranne per il fatto che non vige più la leva obbligatoria. Il terzo è appena ritornato in auge, precisamente il giorno martedì 22 maggio 2012, quando il Giudice Sportivo Tosel sentenzia che la Società Sportiva Calcio Napoli dovrà pagare una multa ammontante a 20 mila euro perché i propri tifosi hanno fischiato l'Inno nazionale.

Dopo le parole di Schifani, circa la sua indignazione per i fischi (e la sua totale indifferenza per i cronici cori razzisti) è arrivata la condanna ufficiale, accompagnata da ruggiti di approvazione di molte persone e da stampa nazionale. "Quegli sporchi terroni stanno fischiando l'inno portatore di democrazia, loro sconosciuta".

Questa multa è un chiaro segno di ritorno ad un orrendo passato, a vecchi metodi che noi credevamo spariti. Ora contestare l'inno è diventato un reato. Non pretendo mica giustizia per i beceri cori contro la tifoseria partenopea, quali "Vesuvio lavali col fuoco" e striscioni tipo "Benvenuti in Italia", "Ciao colerosi" eccetera, non voglio mica sanzioni per le squadre i cui tifosi aggrediscono ripetutamente i tifosi napoletani, non voglio mica la luna!

Non pretendo mica che venga a galla la vera Storia del Sud o le verità occulte sull'occupazione savoiarda, dicasi unificazione. Non pretendo certo che vengano rinominate le piazze dedicate a noti assassini come Garibaldi, Cialdini e Vittorio Emanuele. Non pretendo che venga chiuso il Museo dell'Orrore a Torino dedicato allo "scienziato" Cesare Lombroso, osannato il Italia, ripudiato dalla storia delle scienze, in cui sono esposti crani e scheletri dei "briganti" uccisi dalle truppe piemontesi che lo "studioso" esaminò per concludere che lo stereotipo del perfetto delinquente si rispecchia nei connotati del calabrese.

Non pretendo mica che vengano riconosciuti i primati del Regno borbonico o che vengano onorati gli sconfitti (usanza praticata in Paesi civili e uniti davvero come Giappone, Francia e Spagna) come Carmine Crocco e Michelina Di Cesare. Ma almeno rivendico il mio diritto a contestare, nei limiti del rispetto e della civiltà (e i napoletani non hanno commesso alcuna infrazione), qualcosa. I fischi all'inno sono un qualcosa da comprendere, da ascoltare. E' frutta di un'intolleranza verso e metodi italiani anti-meridionali che dovrebbe preoccupare molto gli uomini di governo. E' segno di un Sud cosciente di sé come non mai della propria cultura e del proprio passato insabbiato.

E' segno invece di barbarie, brutalità, razzismo, ferocia, ignoranza, totalitarismo, anti-democrazia con i quali si affronta e si è sempre affrontato tutto ciò che riguarda il Sud, di marchio tutto italiano. Quei quasi 30 mila fischi all'inno sono 30 mila bocche messe a tacere che gridavano aiuto per una verità che i professoroni razzisti al Governo si rifiutano di vedere. Martedì 22 maggio 2012 la democrazia è morta. Chissà dove arriveremo.

lunedì 21 maggio 2012

Caro Schifani, ti scrivo.

Egregio Onorevole Schifani,

Le scrivo questa lettera simbolica all'indomani del discusso episodio avvenuto durante la finale di Coppa Italia di calcio giocatasi tra Juventus e Napoli. Prima dell'inizio della partita, è stata chiamata la cantante Arisa ad intonare l'Inno di Mameli, sommersa di fischi.
Ciò ha suscitato lo sdegno Suo e della stampa nazionale, oltre che della cantante stessa. Durante l'intervallo, in un'intervista rilasciata a Rai 1, si è definisco "sconvolto" per quei fischi verso "un inno che deve unire, specie in questi giorni segnati da tragedie". La stampa e Arisa hanno seguito a ruota il canovaccio lanciato da Lei. "Brutto e inutile gesto", "incivili", "irrispettosi", "frustrati", "codardi", "ignoranti"; si sprecano, ormai, gli aggettivi usati per definire il gesto della tifoseria partenopea.

Eppure, tra tanti epiteti detti a vanvera, io li definirei in un'unico modo: orgogliosi. Ora, sicuramente le parrà strana questa mia definizione, preso da interrogativi e dilemmi esistenziali (come aumentare il mio vitalizio? Come far penetrare meglio le radici sulla mia poltrona?) ben più importanti della semplice Storia di un popolo .

Ebbene, Onorevole Schifani, deve sapere che la Storia di Napoli e del Sud in generale è ben diversa da quella scritta sui libri di storia italiana studiata a scuola. Non sto qui a spiegarLe questa Storia insabbiata e volutamente infangata. Sarebbe tempo perso e rischierei di mettere in secondo piano gli altri punti da trattare, senza contare che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. E' bene che sappia che, anche nella storiografia ufficiale, la verità riguardante un'unificazione non proprio condivisa, equa, giusta e solidale sta venendo a galla.

Ora, io sono una persona sempre molto realista (che, spesso e volentieri, viene confuso col pessimismo) e so bene che volere giustizia in Italia è un po' come pretendere la verginità da una prostituta. Per carità, non pretendo nemmeno che accada come Giappone, Francia e Germania in cui vige il culto degli sconfitti delle Guerre delle loro Storie; So bene che, come disse Einstein, è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio; Non pretendo assolutamente che si chiuda il Museo dello "scienziato"-killer Cesare Lombroso, ripudiato dalla comunità scientifica internazionale, osannato in Italia, che identificò lo stereotipo del perfetto criminale con i connotati del calabrese; che che scompaiano Piazze e Monumenti dedicati a noti assassini quali Garibaldi, Vittorio Emanuele e Cialdini. Non viviamo mica nel Mondo delle Fiabe!

Però, Onorevole, le chiedo solo di pensare, riflettere. Se non sbaglio di grosso, la Costituzione dice, a caratteri cubitali, che il popolo è sovrano. Ebbene, se una buona fetta di popolo ha deciso di fischiare un inno e viene etichettato come "balordo", "incivile", dalla politica e dalla stampa allora vuol dire due cose: a) Quella fetta non è da considerare popolo; b)Quel popolo viene sistematicamente ignorato. Temo, purtroppo, che valgano entrambe le ipotesi, con una leggera prevalenza della prima.

Ed è proprio questa la ragione che ha scaturito quei fischi. Se, anziché liquidare tutto con leggerezza e superficialità, si interrogasse sulle vere ragioni e, come Lei, tutti i governatori, a quest'ora l'Italia sarebbe sul tetto delle potenze economiche mondiali. Ma invece Lei non fa altro che perseverare nel vecchio gioco, questo sì molto molto italiano, di tapparsi le orecchie e chiudere gli occhi dove non conviene che si veda o si senta. Da quando l'Italia è nata il Sud è stato bistrattato e derubato. Grazie ad internet, la Verità sul Sud, su Napoli, è venuta a galla. Sempre più meridionali non si rispecchiano nell'inno, non lo sentono proprio, non lo vogliono. Ed etichettare tutto come inciviltà invece di ascoltare le ragioni di quelle persone è segno di prepotenza e di totalitarismo oltre che di crassa ignoranza.

Ora, io sono convinto che calcio, storia e politica siano un cocktail difficilmente miscibile e che uno sport non possa diventare una guerra o una manifestazione identitaria, anche a causa della scarsa preparazione culturale del frequentatore tipico di eventi calcistici. Per questo motivo non ho condiviso, anche se mi hanno fatto molto piacere, la presenza degli stendardi dell'antico Regno delle Due Sicilie, tanto demonizzato tra le pagine di storia, ma è un segno che il popolo napoletano non è più inerme, è cosciente della propria Storia affossata dallo Stato e dei suoi intrighi alle spalle.

In estrema sintesi: i fischi all'inno sono simbolo di insofferenza verso le istituzioni oppressive, verso lo Stato assente al Sud, verso la Storia bugiarda che infanga il Sud. In poche parole, è tutto ciò che avete nascosto sotto al tappeto e ora straripa, è il sassolino che diventa slavina, è il nodo che viene al pettine. E continuare ad ignorare simili segnali inequivocabili, se non si rivedono le politiche, la Storia, non si sa dove andremo a finire. Io noto un clima di Guerra Civile.

Fosse finita qui, Onorevole. Io mi rendo conto che Lei rappresenta la seconda carica dello Stato, fa parte di un partito di noti collusi con la camorra che ha tutto l'interesse nel tenere subordinato il Sud, rappresenta un partito che, fino a qualche mese fa, leccava i piedi a Borghezio, ha sostenuto una maggioranza che urlava in Parlamento:"Ho un sogno nel cuore, bruciare il tricolore" senza la minima indignazione e che, quindi, dovesse rispettare delle formalità dovute alla carica.

Ma allora, Onorevole, come mai non è stato equo nemmeno in tale prospettiva? Se il Suo compito è quello di condannare formalmente qualsiasi gesto che può sembrare troppo "spinto" come mai non si è accesa la Sua indignazione per il lancio di oggetti contundenti verso il settore napoletano dopo il vantaggio del Napoli? Come mai non si è indignato per i soliti, beceri, cori tipo:"Vesuvio, lavali col fuoco" e "Benvenuti in Italia" cantati da quasi 30 mila persone? Come mai non ho sentito la Sua indignazione per le, ormai, innumerevoli trasferte del Napoli nelle varie Firenze, Verona, Milano, Roma e la stessa Torino costellate da striscioni quali:"Ciao colerosi", "Vesuvio bruciali tutti" e "Sporchi terremotati"? Come mai la stampa non s'è indignata per simili scenari?

Non crede forse che questi siano oltraggi ben più gravi di una bordata di fischi all'inno nazionale? Non crede che l'Italia, se esistesse per davvero come Nazione e non come Commonwealth del Sud, uscirebbe dalle ossa rotte più da scenari come questi? Non crede, soprattutto, di aver infangato, con le sue parole, un nutrito gruppo di persone che esprimevano la propria opinione, concetto alla base di qualsiasi democrazia? Ah, già, dimenticavo, siamo in Italia, il Paese che invoca il Vesuvio e, appena accadono le tragedie, tutti scoppiano in lacrime di ipocrisia.

In fede,

The Dark Gladiator, un meridionale che vorrebbe essere italiano, ma non lo è per i diritti ed è più italiano di tutti quando si tratta di pagare.


lunedì 14 maggio 2012

FORA I SAVOIA... dalla toponomastica meridionale!

Qualcuno ha mai sentito parlare di una Via Hitler o Piazza Stalin? No, perché, giustamente, la Storia ha condannato questi due deprecabili personaggi a causa delle loro politiche disastrose e per i milioni di morti sulla coscienza di entrambi.

Noti gli eccidi, le torture e gli omicidi di Garibaldi, Cialdini, Pier Eleonoro Negri, Mazzini e altri macellai come mai ci sono in tutte le città italiane piazze e luoghi pubblici a loro dedicati? E' segno di una deprecabile arretratezza culturale che è legata indissolubilmente all'Italia come un gancio che ci costringe a portar dietro il marciume della Storia.

In altri Paesi, molto più civili, come il Giappone, la Germania e la Svizzera, dove hanno capito i propri errori passati, i libri sono stati riscritti, il progresso non si è fermato. L'Italia, invece, continuerà a rimanere attaccata ai discutibili personaggi che l'hanno "unificata.

Ancora una domanda. Come mai nelle città del Sud non sono presenti Piazze o opere pubbliche dedicate alla sua storia? La risposta corretta dovrebbe essere:"Perché non si vogliono lasciare stralci dei loro passati preunitari". In ogni caso sarebbe un gesto sbagliato, ma come mai al Nord ci sono strade e monumenti che traboccano di citazioni e nomi dei Medici, dei Savoia, degli Sforza, dei Papi che hanno scritto la storia del Vaticano?

Al Sud non c'è nulla dedicato, ad esempio, ai Borbone, salvo la statua equestre di Ferdinando I al centro di Piazza Plebiscito di Napoli e, sempre nell'ex capitale duosiciliana, Piazza Carlo III. E' stato persino svelto il busto di Ferdinando II dalla facciata di Palazzo Reale, raffigurante i Re di Napoli.

Senza tante prese in giro, al Sud è stata eliminata la memoria in maniera orwelliana e questi gesti ne sono la dimostrazione. Perché io, meridionale, devo avere le piazze delle mie città con nomi che mi sono estranei? Perché devo avere Piazza Garibaldi, Piazza Dante, Cavalleggeri d'Aosta, Piazza Amedeo, Piazza Trieste e Trento, Via dei Mille, Piazza Cavour, Via Firenze, Via Bologna, Corso Novara e scuole dedicate a Margherita di Savoia e Duchessa d'Aosta?

mercoledì 18 aprile 2012

Viva il Regno delle Due Sicilie (s.p.a.) !

Ebbene sì, non c'è una sola idea della quale non se ne sia servita la stupidità, per citare Musil. Il Regno dell Due Sicilie è, negli ultimi anni, oggetto di revisionismo storico: monarchia assoluta o illuminata? Terra di latifondo o di progresso? Borbone mecenati o retrogradi sovrani? E i "briganti" che si opposero ai piemontesi furono delinquenti o eroi? Difensori della Patria o dei loro clan "camorristici"?

Questi e molti altri quesiti interessantissimi che riguardano il Risorgimento stanno riemergendo. Ma, al di là dei meriti dei suddetti dubbi, ho avuto modo di imbattermi in cose che mi hanno lasciato esterrefatto: gadget con sopra impresso il simbolo duosiciliano di tutti i tipi, dalle bandiere ai cuscini, dalle tazze ai portachiavi.

Passato lo sgomento iniziale, mi sono tornate alla memoria le leggi della Storia, argomento di dispute filosofiche da Plotino a Nietzsche, da Epicuro a Hegel, secondo cui la Storia va avanti secondo leggi statiche ed immutabili e ogni processo del Geist hegeliano accada in funzione di queste. E mi sono tornati alla memoria anche gli anni adolescenziali del sottoscritto, in cui era più al di là che al di qua della sottile linea di demarcazione tra l'idealismo e l'ingenuità.

Erano anni passati con la voglia di cambiare il mondo, senza sapere che cosa sia effettivamente, di voler cambiare il futuro senza pensarci poi tanto. Erano anni passati con i falsi miti libertari e rivoluzionari del comunismo, della realizzabilità dell'anarchia, di personaggi come Bakunin. Erano anni passati con la divinità di Ché Guevara le cui biografie occupavano tutta una giornata, tra un canto di Pablo Neruda e un disco dei Pink Floyd. E proprio sulla figura dell'argentino vorrei soffermarmi.

Fu un indiscutibile mito di democrazia, di cambiamento, così in voga a quei tempi. Purtroppo è diventato, col passare degli anni, un marchio commerciale, capitalista (povero lui..) come l'Adidas o la Nike. La causa qual è? Chi può dirlo?! L'unica cosa certa è che lo hanno ucciso come nessuna spia statunitense, acerrimi nemici del Ché, avrebbe saputo fare. Il suo marchio è dappertutto, sui prodotti più impensati: maglie, felpe, cappelli, polsini, adesivi a mo' di immagine votiva che il popolino affigge sul retro della propria auto assieme a Maradona e a Padre Pio (non immaginando nemmeno l'imbarazzante lontananza tra i tre personaggi), persino sui pacchetti di sigarette.

Nel tentativo di renderlo immortale, paradossalmente, tutti lo hanno dimenticato. Ben pochi di coloro che espongono la sua effige sulla T-shirt conoscono la sua data di nascita o di morte, per non parlare delle sue missioni rivoluzionarie in Congo e in Bolivia. Se usassi dietrologia (che talvolta si confonde con intuizione) direi che sono stati proprio i servizi segreti della CIA, nota studiosa dei comportamenti della psiche umana, a inventare questo geniale metodo di distruzione di miti, a riuscire dove i dittatori del passato hanno fallito: se vuoi che un simbolo e qualsiasi cosa esso rappresenti venga distrutto e cancellato con bisogna vietarlo, bandirlo, cacciarlo, in modo da creare martiri. Bisogna sdoganarlo, bisogna ripeterlo ossessivamente finché non verrà connessa ad un'immagine comunissima e, come tale, priva di significato

Col Ché ci sono riusciti. Egli è stato umiliato come la sua ideologia, rivelatasi solo una fabbrica di miseria e distruzione, è morto insieme alle proprie idee di uguaglianza e democrazia che avrebbero potuto seriamente mettere in crisi "qualcuno". Ci sarebbero molti altri esempi da prendere in considerazione, ma reputo questo il più emblematico al fine della mia questione.

Lo stesso processo di sdoganamento è in atto verso il Regno delle Due Sicilie, portatore di un ritrovato orgoglio meridionale che potrebbe minare lo status quo nordista. Riprendendo l'esempio di Ché Guevara, le lobby nordiste governative (o, se risulta troppo paranoico, la gente che abbraccia simili teorie con la violenza e la superficialità di un tifoso allo stadio) potrebbero aver incentivato il mercato di tutti i gadget da me elencati precedentemente.

Così, bandiere, portacellulari, adesivi per frigo, poster e magliette sono mezzi con i quali si propaga, con un ultimo colpo di coda, la retorica savoiarda. Per cui lancio un appello a tutte le genti del Sud: non acquistate simili oggetti. Essi non hanno alcuna attinenza con il ritrovato orgoglio sudista, con la nuova vecchia identità; non sbandierate i vessilli borbonici negli stadi (leggi qui il mio articolo in proposito).

Lasciamo fare ai leghisti simili pagliacciate. Preoccupatevi di leggere, di documentarvi sull'argomento e di sviluppare i vostri pensieri e le vostre ricerche in maniera indipendente. Pensate con la vostra testa. Il vostro orgoglio meridionale si dimostra studiando la vostra Storia Vera, diventando cittadini esemplari, aiutando, con qualsiasi mezzo, la vostra terra.

giovedì 5 aprile 2012

Riflessioni sul rapporto Stato-Camorra

Prima di parlare di Camorra, dobbiamo necessariamente disporre almeno di una definizione oggettiva sul quale basarci. Secondo lo "Zingarelli", la Camorra è un' "associazione della malavita napoletana, nata sotto gli spagnoli e affermatasi nell'Ottocento, molto potente e organizzata secondo rigorose leggi gerarchiche". Scopo di quest'articolo non sarà di ripercorrere la storia di quest'organizzazione, talvolta oscura e ingarbugliata, perciò il sottoscritto ignorerà la discutibile sintesi sull'origine della Camorra data dal dizionario, figlia di una cultura obsoleta, contorta e contaminata (basta solo riportare che la parola ha origini sconosciute, risalenti, circa, al 1861. Ma tu guarda che caso...). Vorrei soffermarmi più sull'influenza che ha questo fenomeno nelle nostre vite, sulla diffusione e la reale potenza di quest'organizzazione e come fare per eliminarla.

Oso sperare che nessuno dei miei eventuali lettori crederà alla frottola, incoraggiata sia dall'anomala destra a trazione leghista che dalla sinistra radicata nelle frazione tosco-emiliana, che la Camorra non ha trovato spazio nell'onesta e pulita finanza del Nord, che nessun camorrista abbia avuto l'ardire di varcare le "Colonne d'Ercole" del Tevere, intimorito da una frazione d'Italia efficiente e incorruttibile e che quei pochi delinquenti presenti nelle periferie di Torino e di Milano siano tosto soffocati da un senso di onestà collettiva, tanto abbondante al Nord e tanto scarseggiante al Sud. Il superamento di questa barriera architettonica, costruita sulla sabbia bagnata, è già a metà strada dalla risoluzione del problema. Badate bene, intendo superata per davvero, dal punto di vista mentale, il che non vuol dire blaterare prediche di mal comune, citando confusamente Saviano e Borsellino, per fare i radical-chic "libertari e ugualitari di sinistra", per poi, appena si sente una notizia, riciclata tra l'altro, di un arresto a Palermo o Reggio Calabria, pensare tra sé:"Ma tu guarda, i soliti terun..."

E' innegabile, però, che i quartieri più degradati e rovinati si trovano nelle periferie delle metropoli meridionali. Ad una prima analisi superficiale, si potrebbe concludere che la Camorra esista sono a Palermo, a Catania,a Napoli, a Bari, a Cosenza. E' una visione condivisa dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica e politica, quasi quasi anche nelle stesse città citate. I napoletani, ad esempio, sono davvero convinti di abitare in una sottospecie di "decimo cerchio" dell'Inferno, il cui ingresso si trova occultato nella "selva oscura" delle Vele di Scampia, e poco importa, ad esempio, se l'Accademia di Filosofia degli USA ha constatato che i bambini di quel luogo compongono i migliori ragionamenti epistemologici d'Italia o che la raccolta differenziata è superiore al 70%, proprio lì, nella conca di Lucifero, nell'Inferno dell'Inferno, ove colui che entra deve lasciare ogni speranza di uscirne nelle stesse condizioni con le quali è entrato. Nonostante questo, rimarranno sempre feccia agli occhi di tutti; i palermitani sono davvero convinti di abitare in un universo verghiano in cui la loro triste realtà, derivata da cause millenarie, innata, immutabile ed eterna, e qualsiasi tentativo di cambiare porterà solo un peggioramento delle cose. E loro sono davvero convinti che la loro "Casa del Nespolo" sia situata in qualche vicoletto ombroso e terribile dello Zen, e poco importa se Palermo è una delle città con più scontrini rilasciati d'Italia. Nonostante questo, rimarranno sempre feccia agli occhi di tutti.


Ho portato alla luce questi due esempi per illustrare il senso di inferiorità in cui vigono le popolazioni meridionali. Ed è molto importante per spiegare gli stereotipi alterati delle città del Sud e confrontarli con quelle del Nord, la cui immagine è spesso anche gonfiata rispetto alla realtà, in meglio s'intende. E, oltre al danno, la beffa: come si possono difendere luoghi disprezzati, all'apparenza, anche dai loro abitanti stessi? Ho voluto dilungarmi su un tema estraneo, apparentemente, alla vicenda. Ho scritto queste righe per cercare di spiegare che quartieri come Scampia e lo Zen, associati comunemente ad una diffusione camorristica pari al 99,9%, siano, in realtà, un fallimento dello Stato. I residenti di simili quartieri, invisibili per lo Stato, nemici giurati delle istituzioni, hanno passato (e passano) decenni, forse secoli, a vedersi rinfacciare le cause di un simile abbandono, fatto passare per giusto: chi vorrebbe perdere tempo con dei rifiuti umani come loro? E chi non ne può più di vivere in tali condizioni, stanchi delle continue mortificazioni, si trovano di fronte a una scelta: emigrare con l'indelebile etichetta di meridionali o abbracciare le forti e sicure spalle della Camorra.

Così come dopo una delusione amorosa è più probabile avere una relazione pericolosa, col primo che capita, i cittadini distrutti dal pregiudizio storico, rifiutati dallo Stato così come un padre rifiuta un figlio quando questi è nato da uno stupro, sono segnati dalla brutale crudezza delle loro vite e, per non soccombere, sono costrette a gettarsi tra le braccia del loro, apparente, salvatore. Sì, perché la Camorra è una sicurezza, una salvezza. La Camorra non è altro che uno Stato alternativo e, per certi versi, anche più efficiente: garantisce un futuro a dei ragazzi (capita a fagiolo la notizia del boss Setola che assumeva i laureandi), garantisce una protezione economica se si rispettano determinate regole, garantisce anche dei servizi migliori e addirittura un piano pensionistico (cosa che lo Stato ha praticamente eliminato); la Camorra è uno Stato più materialista e meno sofisticato: se fai uno "sgarro" alla Camorra finisci decapitato (se tutto va bene), se lo fai allo Stato ti ritrovi senza lavoro, con una vita distrutta, o in un carcere-lager; i boss di Camorra non sono eletti da nessuno e vige la legge del più forte, come nei branchi di animali quando muore il capo. I Capi di Stato sono,nella teoria, eletti dal popolo (questa fantomatica figura), ma, nella pratica, comanda sempre la solita Casta; entrambi hanno gerarchie da rispettare, segreti da mantenere, agiscono nell'ombra. Non si contano più gli abusi da parte di entrambi: blitz nei negozi, pizzi e tasse, Equitalia e strozzini, carabinieri e clan (tutt'e due fortissimi con i deboli e debolissimi con i forti), l'uno con sigarette, alcol e gioco d'azzardo, l'altro con la droga hanno distrutto migliaia di vite e di famiglie, e la lista sarebbe ancora molto lunga. La Camorra e lo Stato cono due facce identiche della stessa medaglia che siamo costretti a portare al collo.

Ci sono moltissime persone, più di quanto pensiate, che si ribella, che denunciano, che si costituiscono, pentiti, da ex camorristi. E costoro vengono protetti con programmi a dir poco inadeguati. Nemmeno i giornali, ormai, si danno più la pena di riportare la notizia. Il sacrificio di costoro, quindi, rimarrà fine a se stesso. E varrebbe la pena rovinarsi l'esistenza, mettendo a serio repentaglio la vita propria e dei propri cari, per un'organizzazione altrettanto criminale che non ti vuole, ti è ostile, ti discrimina e, quando giuri fedeltà, ti abbandona per l'ennesima volta? Rispondete con sincerità, almeno nei vostri cuori. Mi piacerebbe sapere cosa risponderebbero quei saccenti (gran parte del Nord) che rimprovera le popolazioni di non sapersi ribellare o che esortano i meridionali al cambiamento (come se da loro la Camorra non ci fosse) e dichiara, urlando sconclusionatamente, guerra alle mafie. Quella gente non ha capito nulla e le loro labbra si muovono di gran lunga più velocemente del loro minuscolo cervello. Vorrei vedere questi pseudo-comunisti, questi sputasentenze, questi leghisti affiliati alla 'ndrangheta, questi razzisti, questi rivoluzionari da iPhone e iPad, questi guerriglieri con i pannolini cosa farebbero in tali condizioni. Sono certo che venderebbero persino la propria madre, e le loro parole andrebbero in frantumi come una bottiglia vuota.

Non c'è da stupirsi, quindi, se la presenza di affiliati alla camorra al Sud in generale e, in particolare, in simili luoghi, non accennano a diminuire. Le manifestazioni di studenti, di volontari, di circoli culturali che rifiutano la Camorra sono all'ordine del giorno a Palermo e a Reggio Calabria. Quasi nessun giornale ha dato spazio a movimento anti-'ndrangheta calabresi come "Io sono Fabrizio" e "Adesso ammazzateci tutti"; le minacce di morte al magistrato barese, al blogger siciliano e al giornalista napoletano sono frequentissime e sempre ignorate da uno Stato che non ha alcun interesse a salvaguardare una fetta di popolazione così volenterosa, così generosa e coraggiosa, anche a costo di danneggiare se stesso. Pensate un po' cosa sarebbe l'Italia ora, quali fasti avrebbe raggiunto, se il Sud fosse trattato come parte integrante del Paese e non come una colonia, come il solito limone da spremere. Ma, per cause che trovano radici nella pigrizia, nella stupidità, nella cattiveria e nell'egoismo, si vuole mantenere costante lo status quo di una parte del Paese, si vuole andare avanti con l'inculcamento che al Sud la Camorra è diffusa per senso di pigrizia, di sfrontatezza, di disonestà, di repellenza alle regole e alla civiltà degli abitanti stessi. Si omettono, volutamente, le colpe dello Stato (con un vero e proprio atto camorristico) e si abbandona simili luoghi alla Camorra (vero e proprio atto statale).


Il mio discorso, ovviamente, descrive le condizioni di un ambiente che non sarebbe fuori posto in un racconto di Victor Hugo. Sono scenari di miseria (che è cosa ben diversa dalla povertà) nella quale il Sud è stato gettato e mai voluto aiutare. Simili denunce, purtroppo, risultano, agli occhi dell'opinione comune, sovversive, portatrici di una teoria nuova, ignota, inaspettata, che non sono sicuri di poter accettare facilmente. In simili scenari, la Camorra spadroneggia indisturbata con responsabilità notevoli (e notevolmente nascoste) dello Stato. I cittadini, nella maggior parte dei casi, lottano, cercano di ribellarsi. Le manifestazioni sono grida d'aiuto sistematicamente ignorate e, quindi, nemmeno prese in considerazione dalla Camorra, a piena conoscenza della loro innocuità. In estrema sintesi: la miseria e la delinquenza, spesso, a livello sociale, coesistono; il povero dovrebbe essere aiutato, invece lo Stato lo incolpa, attribuisce questa miseria ai miseri stessi: lo sua tesi è "la colpa è loro che, per pura disobbedienza, diventano camorristi, è colpa loro se sono così poveri, nonostante si sia fatto di tutto per aiutarli".

Ovviamente, non è solo questo lo scenario tipico camorrista. Ci sono anche camorristi che aderiscono per senso di impotenza, di avidità, di pura disonestà: un imprenditore che ha bisogno di aiuto per coprire i suoi affari sporchi, un politico che necessita di voti per salvaguardare la propria fedina penale non proprio immacolata (ogni riferimento è puramente casuale), il prepotente che ha bisogno di un "teatro" per inscenare le proprie frustrazioni. Costoro sono "semplici" delinquenti, degli esseri inferiori ed insignificanti la cui pena dev'essere esemplare. Hanno poco a che fare con la camorra in quanto solo un mezzo per propagare la propria disonestà, e se non ci fosse la Camorra, avrebbero usato un altro espediente. E questa è la Camorra che trova maggiormente spazio al Nord. Nelle città settentrionali accadono esattamente le stesse modalità di Napoli, di Palermo e di Taranto: pizzi, racket, far west e regolamenti di conti. Eppure non esiste una Scampia fiorentina o uno Zen torinese perché non esiste alcun motivo, né sociale, né storico, né politico per giustificare la massiccia presenza di Camorra al Nord. Sono tutto fuorché abbandonati. I camorristi del Nord, in combutta con lo Stato, non vengono discriminati da nessuno, sono al centro di qualsiasi progetto governativo, dalla distribuzione dei fondi alle riparazioni per malapolitica e corruzione.

Non sussiste la scusante dell'abbandono da parte dello Stato perché loro sono lo Stato, né dalle istituzioni, loro alleate. né dai media che si sperticano in lodi anche per la più piccola sciocchezza e che elevano al cubo i loro lati positivi. E poco importa se le più grandi truffe, rapine, estorsioni e scandali sono stati fatti dalle mafie del Nord, forti di capitali inesistenti al Sud: l'appellativo "mafioso" sarà sempre prerogativa meridionale. Nonostante a Napoli, ad esempio, si svolga una manifestazione anti-Camorra con la stessa frequenza con la quale si chiede il pizzo a Milano, sarà sempre quest'ultima ad essere "la capitale morale d'Italia", "la capitale della Finanza" e "la capitale della moda" e Napoli "la capitale della monnezza", "la capitale della mafia" e "la capitale del pizzo". E in questo consiste la differenza sociale tra Nord e Sud.


Per tale motivo non possono esistere aree degradate al Nord (grossomodo), ma, semmai, aree povere o periferiche, come esistono dappertutto. Si ha la conferma di tutto ciò all'estero. Le mafie più influenti si trovano, guarda caso, in Slovenia, in Romania, in Albania, in Cina, in Russia e in tanti altri Paesi, specie dell'Est Europa, provenienti da passati molto difficili. Anche lì vigono le stesse norme. Anche in tali Paesi il cittadino viene, sovente, abbandonato, anche lì l'emigrazione, per non dire esodo, della popolazione stronca l'economia nazionale, anche lì sono costretto ad avere una spalla forte sulla quale appoggiarsi. E, non a caso, queste nazioni non crescono, non producono (eccezion fatta per la Cina, la cui oppressione vero i cittadini è riconducibile alla dittatura che vive). Ci sono nazioni, invece, come la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, in testa a qualsiasi classifica di democrazia e ai piedi di qualsiasi stima del livello di corruzione, che sono il top mondiale. Lì la camorra non esiste? Certo che sì. La Camorra è un fenomeno globale e va dove ci sono grossi patrimoni da sfruttare come una mosca viene attratta dal miele . Ma lì, la Camorra è solo, appunto, una forma di delinquenza come tante altre. E la delinquenza esiste dall'Artide all'Antartide, dalla Florida al Giappone. In questi Paesi citati, lo Stato non abbandona il cittadino, lo aiuta, gli permette una vita tranquilla, lo tutela. Il cittadino svizzero, svedese o danese non ha bisogno di rifugiarsi nella malavita quando può godere di simili protezioni. Lo Stato italiano, invece, pretende, con grande esterofilia, le tasse dei Paesi all'avanguardia, ma è irriducibilmente nazionalista sulla qualità dei servizi offerti.

E, dopo tante parole, qual è la soluzione? La soluzione non è nella "guerra civile", né, tanto meno, ci si può limitare al solo arresto dei camorristi ("morto un boss, se ne fa un altro") né possono essere considerati passi avanti le numerose manifestazioni antimafia al Sud (la Camorra conosce la loro innocuità e lo Stato non tende loro una mano, come precedentemente detto). Anzi, si arriverebbe al paradosso di creare miti, di rendere martiri quelle persone che, comunque, avevano garantito una protezione, un lavoro, una pensione a centinaia di persone, e quella gente scesa in strada per impedire l'arresto di qualche boss (fatte passare come autentici atti di mostruosità, di deplorevole sottomissione, di bestiale "terronismo", per incivile irrecuperabilità) lo dimostra. Quelle persone non avrebbero motivo di protestare se avessero qualcun altro su cui contare. Invece si sono visti privare di una persona, apparentemente, amica, loro alleato, strappata da mani ignote, sconosciute e ostili.

Dunque, qual è la soluzione a una questione tanto annosa? E' relativamente semplice: lo Stato dovrebbe colmare le lacune riempite dalla Camorra, con fatti concreti. Dovrebbe ridurre ciò che chiamiamo comunemente "tasse" ma che sono, in realtà, veri e propri pizzi per quantità, ristrettezza e rigidità di tempi; dovrebbe creare crescita economica che non vuol dire licenziare ad occhi chiusi per "motivi economici"; dovrebbe aumentare i salari per mettere in circolo più denaro in modo da far spendere di più e rilanciare l'economia (era chiaro persino a Giolitti) e non ridurre gli stipendi in modo da renderli appena sufficienti per pagare le tasse, facendo ristagnare il mercato; dovrebbe ridurre l'età pensionabile in modo da creare un continuo ricambio gnerazionale e non ridurre le pensione, aumentare l'età e rubare l'anzianità a intere generazioni (altro che Camorra!); dovrebbe incentivare le imprese, le industrie e non soffocarle ; dovrebbe puntare sul Sud: dovrebbe ripristinare le magnifiche industrie napoletane attive nel periodo borbonico, valorizzare (non rubare) le risorse energetiche della Calabria e della Lucania; dovrebbe sfruttare (non rubare) i giacimenti di gas siciliane (e, con questi due punti, mettere fine alla propria dipendenza nei confronti di Paesi esteri); valorizzare i porti di Catania, Salerno, Gioia Tauro, ridare industrie a Cosenza, incentivare il turismo pugliese, l'olio della Basilicata, i vini della Campania, l'export molisano.

Questa è solo una piccolissima parte del lavoro che bisognerebbe fare. Bisogna puntare e investire definitivamente sul Meridione, come la Germania Ovest puntò e investì sulla disastrata Germania Est dopo il crollo del Muro di Berlino. Il Sud è una terra di immense e illimitate potenzialità, di ricchezze sfruttate da tutti, inglesi, americani, arabi, francesi, tranne che dall'Italia che preferisce, ad esempio, la manodopera a basso costo nordafricana alla fertile agricoltura siciliana. Tutto questo per mancanza di volontà, per invidia, per una paura derivata da una parte del Paese vista come nemica e non come alleata. E si preferisce abbandonare quelle magnifiche terre alla Camorra. Date a Scampia delle fabbriche, degli spazi adeguati a lavorare e vedrete che la Camorra avrà seri grattacapi. La gente potrà lavorare come si deve, non avrà bisogno di spacciare droga per vivere. E, invece, le si abbandona di proposito, come un accordo tra due Stati: lo Stato e la Camorra sono alleati, l'uno non esiste senza l'altro. Se così non fosse, se uno dei due desse davvero fastidio all'altro, uno dei due avrebbe già dovuto soccombere. Come negli anni '70: le Brigate Rosse, Lotta Proletaria, NAP e altre organizzazioni affini non esitarono a usare bombe, a eliminare senza scrupoli chiunque, in nome dello Stato, anche in nome della sinistra, tentasse di fermarle: tempo una decina d'anni e le Brigate Rosse sono scomparse. La Camorra non si elimina perché non si vuole.

Ora, facile critica sarebbe:"E Borsellino, Falcone, Impastato che hanno dato la vita affinché lo Stato e la legalità prevalessero sulla Camorra?". Costoro furono eroi che combatterono assiduamente per lo Stato, il quale li ha traditi come al solito. Loro erano pericoli per la solidità del connubio Stato-Camorra e sono stati fatti fuori all'istante. Perciò Saviano stia tranquillo: se avesse scritto cose davvero scomode per chiunque, a quest'ora già era, abbondantemente, polverizzato, sia pure a costo di far saltare in aria tutto il suo quartiere di residenza.


"La mafia aveva bisogno dello Stato per esistere. Ora lo Stato ha bisogno della Camorra". E la Camorra serve eccome: serve per mantenere lo stato di minorità del Sud, per distruggerlo, per spremere sempre lo stesso limone, per mantenerlo in schiavitù, per ridurlo in colonia qual è. E per il povero meridionali, quindi, la distruzione continua, l'esodo non accenna a diminuire, il pregiudizio verso di loro continua, imperterrito, ad essere alimentato. Il processo da me illustrato è condannato ad andare avanti di anno in anno, ad essere tramandato di generazione in generazione, per anni, finché il nostro popolo non verrà definitivamente estinto, come lo stesso Hitler sarebbe stato incapace di fare, se non fisicamente (non che non ci abbiano provato eh...) dal punto di vista della memoria, della coscienza, dell'anima. Il meridionale che ha aperto gli occhi vive, quindi, come un guscio d'uovo vuoto. Esiste e basta, senza emozioni, senza orgoglio, senza vita. Possiamo sentirci orgogliosi di uno Stato simile? Il sottoscritto no di certo. Quindi, può darsi che la prossima volta che vedo un tricolore, il mio accendino non passi troppo lontano dalla sua stoffa, intessuta con il nostro sangue.

domenica 1 aprile 2012

"Prete col chiodo fisso" scovato da Le Iene. Video integrale annesso con concorso di razzismo


Le iene-il prete con il chiodo fisso di skorpion-05





Questo è il video mandato in onda da "Le Iene" giovedì sera. E' uno dei filmati più raccapriccianti che abbia mai avuto la sfortuna di vedere. Non ho mai visto nulla di così disgustoso, triste, spaventoso e angosciante. E, per riuscire a scandalizzarmi, ce ne vuole!

Questo spiacevole avvenimento ha avuto la sfortuna di accadere in un paese in Provincia di Napoli, Marano. Per cui, vi lascio immaginare quali ripercussioni avrà questa vicenda. Però voglio fare di più, voglio indire un concorso. Avrà un premio speciale il primo imbecille che:
  1. E' un razzista, di vario motivo "politico", col "chiodo fisso", per l'appunto, di Napoli in particolare e del Sud in generale e rilascerà commenti del tipo:"Ma che schifo, mi fate venire da vomitare, sporchi terroni, popolo di m@@@a, ignoranti e puzzolenti. L'unica soluzione per voi è il Vesuvio";
  2. E' un razzista "comprensivo" e rilascerà commenti del tipo:"Io non ho niente contro i napoletani, però ponetevi delle domande se certi personaggi agiscono indisturbati. Se non cambiate, non potrete mai risolvere i vostri problemi;
  3. E' un razzista "comunistello" (appartengono a questa tipologia, di solito, soprattutto gli abitanti del Centro-Nord, quindi Emilia o Toscana):"Ma che m###a, che schifo. Quanto odio questa chiesa schifosa. Spero che il Papa e il Vaticano brucino al più presto. Però dai ragazzi, il popolo napoletano dov'è? Perché non fa una rivoluzione contro questi personaggi? Perché non scende in piazza contro la loro camorra e la loro chiesa oppressiva? SVEGLIAAAAAAAAAAAAAA!!! HASTA LA VICTORIA SIEMPREEEEEE!!
  4. E' un razzista "neofascista estremo" (questi sono soprattutto del Lazio e del Veneto) e rilascerà commenti del tipo:"Che schifo che mi fate. Siete dei topi lerci, la colpa dello sfacelo italiano è tutta vostra. Siete la rovina d'Italia e la fogna d'Europa. Puzzate, non lavorate, siete analfabeti, truffatori, falsi invalidi. Che m###a di città, io scapperei subito. Solo i forni per voi. DUX MEA LUX! HEIL HITLER!!!!
  5. E' un napoletano che vive a malincuore la propria città ed è in costante pena per essere nato in un "simile postaccio". Costui dirà cose del tipo:"Facciamo schifo. I soliti napoletani di m###a. E lo dico da napoletano. Mi vergogno di essere nato qui e non vedo l'ora di andarmene per non rimettere più piede in questo sporco reticolato di immondizia, camorra, disonestà e mancanza di rispetto per il prossimo. Viviamo nel peggiore dei posti. SCUSATECI NORD, ITALIA, EUROPA, MONDO. Queste cose, da voi, non accadranno perché avete la legalità nel sangue, a differenza nostra";
  6. E' un napoletano emigrato, complessato, che si vergogna di se stesso. Costui rilascerà commenti del tipo:"Mi fanno schifo simili commenti, però chiediamoci come mai certe cose accadono solo a Napoli mentre nel resto d'Italia tutti vivono in pace, in armonia e il pulizia e certe cose non esistono nemmeno. Ho fatto proprio bene ad andarmene e a non tornarci più. Come diceva De Filippo:"Fujetavenne"!
  7. E' un razzista proveniente dal resto del Sud, con ingiustificati ed evidenti complessi di inferiorità che stimolano il suo provincialismo e gli impediscono di fare forza comune, avvantaggiando il Nord. Costui rilascerà commenti del tipo::"Napoli è proprio la rovina del Sud. Staremmo molto meglio senza la vostra immagine, senza gli stereotipi che ci scagliate addosso. IL SUD RIPUDIA NAPOLI. NON SIETE DEGNI DI ESSERE MERIDIONALI"
  8. E' semplicemente uno stupido, con il cervello totalmente lavato dalla curva della propria squadra di calcio. Emetterà, di certo, ululati di questo tipo :"SCHIFOSIIIII. GRAZIE CHELSEA, NAPOLI COLERA, FOGNA DELL'ITALIA INTERAAA AHAHAHAH MONNEZZARI"


Che tipo di razzista siete voi? SCOPRITELO RILASCIANDO UN COMMENTO. Il primo che lo fa, riceverà un bellissimo premio!

lunedì 19 marzo 2012

Napoli supera la prima fase di qualificazione a città meraviglia del mondo

Vi ricordate il concorso tra 1200 città in lizza per diventare 7 meraviglie del mondo? Ho una buona e una cattiva notizia. Per il Sud erano candidate Bari, Taranto, Napoli, Palermo, Messina e Catania. La cattiva notizia è che 5 di queste sono state eliminate. La buona notizia è che Napoli ce l'ha fatta ed è addirittura prima nel ranking europeo.Per far tornare Napoli a splendere come un tempo, però, ha ancora bisogno dei nostri voti. Sotto troverete un link utile per votare. Ricordo che DOVETE votare per forza 7 città e NON PIU' di una per nazione. Diffondete la notizia con Twitter, Facebook, email, sms e qualsiasi altro mezzo. La vostra terra, la vostra storia passata e futura vi ringrazierà.





lunedì 5 marzo 2012

Ancora bandiere duosiciliane durante Parma-Napoli

Ieri, durante la partita di campionato italiano di calcio di serie A, Parma-Napoli, ho notato una cosa forse sfuggita ai giornali. E' stato esposto nuovamente lo stendardo del Regno delle Due Sicilie. La tifoseria napoletana non è nuova a certe cose; che io ricordi, accaddero analoghi episodi in Manchester City-Napoli e in Napoli-Juventus. Non sono riuscito a rimediare delle foto e ho già trattato l'argomento, ma voglio ribadire ciò che ho già affermato.

La chiave di lettura è duplice: da una parte, mi fa assolutamente piacere che una popolazione tanto martoriata e infangata, riacquisti le nobili radici del suo passato e lo esponga come un vanto anziché lo nasconda come una vergogna come si faceva fino a poco tempo fa.

D'altra parte, però, rischia di sminuire il valore della riscoperta storica contro le bugie risorgimentali in atto negli ultimi anni. Si rischia di far passare tutto come un fenomeno "indegno", da stadio, si rischia di ridurre la Storia a sfottò tra curve di opposte tifoserie, si rischia di rovinare la nomea di tifoserie del Sud piene di calore e di allegria e farle diventare come quelle tifoserie incivili che "fanno politica" urlando insulti razzisti e sventolando croci celtiche o bandiere leghiste.

Certe cose lasciamole fare a loro. La Storia è ben altro

mercoledì 29 febbraio 2012

Ero convinto di essere meridionale anche io, ma, leggendo "Giù al Sud" di Pino Aprile, ora ho qualche dubbio

Sapevate che gli aiuti dati al governo giolittiano alla popolazione messinese, all'indomani del terribile maremoto del 1908, consistettero in furti, fucilazioni e razzie dei soldati a danni degli alluvionati? Sapevate che il sistema bancario napoletano era ritenuto uno dei meglio affinati del mondo e che, tra il 1831 e il 1859, promosse più attività produttive che la Banca Nazionale nei 30 anni successivi all'Unità? Sapevate che la povera e affamata Calabria possedeva l'industria siderurgica migliore del mondo?

Per chi ha già letto autori come De Viti De Marco, Gaetano Salvemini e Nicola Zitara, sicuramente non saranno novità. Per tutta un'emergente generazione di meridionalisti, sempre più numerosa, paragonabile, come dice Aprile con molta lungimiranza a mio avviso, alla generazione della Beat Generation degli anni '60, lo sarà eccome. E, per sapere queste e centinaia di altre novità, questo dev'essere per loro un libro imperdibile, da prendere quasi come un vangelo, perché dice solo verità. E il paragone fatto da Aprile è davvero sorprendente, perché facilmente constatabile. Non risulta difficile trovare punti in comune tra questo nuovo (e inedito) movimento di giovani meridionali, che hanno come totem gente come Gigi Di Fiore e, appunto, Pino Aprile, ascoltando le musiche popolari ed etnologiche di Eugenio Bennato e quelle di Mimmo Cavallo, e quel movimento che diede vita al famoso '68, che ascoltava il dio della musica, Jimi Hendrix, e i mitici Rolling Stones, che aveva come vangelo i libri di Keruac e Ché Guevara, con la differenza, riportata dallo stesso Aprile, che questa nuova generazione è più concreta, più innovativa e meno ingenua. Ma entrambe rappresentano uno scossone al vecchio sistema: la generazione sessantottina era una protesta all'educazione cattolica e illiberale del tempo, una controcultura a quella ufficiale, ancora fascista e reazionaria, un ribellismo allo status quo delle caste padronali e alla società patriarcale e bigotta; la generazione meridionalista è uno scossone alla condizione di subalternità in cui il Sud Italia si vede immerso, una controstoria alle versioni ufficiali, corrotte da una retorica savoiarda prima e fascista poi, e mai più risollevatasi, che vedono il Sud come atavicamente arretrato e incivile, un ribellismo alla casta di politici (indistintamente di destra e di sinistra, che sono divisioni anacronistiche) che insulta, infanga e calpesta il Sud e sostiene la menzogna che, nonostante i loro immani, tempestivi e gratuiti sacrifici, il Sud sia troppo pigro o troppo rovinato per risollevarsi e che, ingenerosamente e senza pudore, osa chiedere di più e criticare ciò che già hanno loro immeritatamente e lautamente retribuito.


Pino Aprile ha avuto il merito di dare voce a questa generazione e, col fortunato best seller "Terroni", ha posto problemi noti solo a pochi e ha dato vita alla più svariata letteratura, ironia della sorte, proprio in occasione dei 150 anni dell'Unità italiana. Il libro si compone di una serie di racconti sparsi, di episodi a cui lui ha assistito nel corso dei suoi viaggi al Sud, di racconti di giovani meridionali laureati con lode e costretti ad emigrare al Nord (circa un miliardo di euro in risorse che il Nord guadagna a spese del Sud), di paesi svuotati dalla disoccupazione e dalle razzie nordiste in 150 anni. E le cose che dice sono tutte vere e, alcune, sono raccapriccianti. Ciò che il Sud ha subito (e subisce) sarebbe da denunciare alla Commissione per la Tutela dei Diritti dell'Uomo che, tra l'altro, ha già condannato per ben due volte l'Italia per la questione dei rifiuti di Napoli e per i maltrattamenti subiti dagli immigrati di Lampedusa (mentre, come Aprile stesso ricorda, la Germania, negli anni '90, accolse senza alcuna difficoltà 100 mila immigrati dai Balcani sconvolti dalla Guerra del Kosovo,e ,all'epoca, la Germania si era appena riunita). Neanche la Cina o l'Iran!

Lo sapevate che la Gelmini ha eliminato gli autori meridionali come Gatto, Scotellaro, Sciascia e Silone dai programmi "sufficienti per un'adeguata preparazione"? Lo sapevate che il Governo Berlusconi IV girò i fondi destinati alla ristrutturazione delle università del Sud all'Accademia delle Armi di Brescia e alla rottamazione delle automobili del Nord? Lo sapevate che l'industria settentrionale stava andando in fallimento dopo la Prima Guerra Mondiale e lo Stato italiano la aiutò pesantemente con i soldi di tutti, mentre l'eccellente industria borbonica fu depredata e abbandonata senza pietà? Per coloro non erano al corrente delle ruberie del Nord durante il Novecento, questo libro farà loro sgranare gli occhi per l'indignazione, farà loro schiumare di rabbia per ingiustizie passate sotto silenzio e, anzi, addossate alla vittima stessa.

Sono, però, costretto ad aprire una lunga parentesi critica nei confronti delle sue scelte. E, nella remota ipotesi che Aprile legga queste mie parole, vorrei chiedergli: non le pare di aver creato un "Nord del Sud" e un "Sud del Sud"? Non crede che abbia trascurato molti fattori imprescindibili per qualunque libro che si ponesse a "vessillo della nuova fierezza meridionale"? Pino Aprile si è concentrato, quasi esclusivamente, su Calabria e Puglia, con continui richiami alle risorse sfruttate abusivamente dal Nord alla Sicilia e alla Basilicata. La Campania, invece, la Regione che ha ospitato la capitale del Sud dal 1130 all'Unità, è solo vagamente citata nei discorsi più remoti e retorici (e, in quanto a retorica, alcune parti del libro non scherzano) di cui il libro abbonda. Il Molise? Questo sconosciuto! L'Abruzzo, Regione meridionale a tutti gli effetti, al contrario della Sardegna citata in continuazione? Non esiste. E le Province storicamente meridionali come Latina e Rieti, dimenticate dal Sud perché non più meridionali , rifiutate dal Nord perché mai del tutto nordiste e che ora fungono da "Striscia di Gaza" nella vera e propria guerra civile che il Paese attraversa? Eppure queste Province hanno ospitato le fortezze che hanno resistito più all'invasione piemontese, come Civitella del Tronto e Gaeta.

E le grandi città meridionali la cui economica è stata distrutta dai Savoia come, appunto, Napoli, Palermo, Bari o Reggio Calabria? Mai citate, neppure per sbaglio. Al libro dev'essere riconosciuto il merito di aver dato voce a tanti paesini calabresi e pugliesi che non esistono per i media, dimenticati anche da loro stessi, distrutti dalla perenne recessione meridionale. Eppure non si può capire a fondo la Questione Meridionale, lo stato in cui il Sud è stato gettato dopo essere stato spolpato, se non si guarda alle sue città capitali. Le due storiche capitali, del Regno delle Due Sicilie e, in precedenza, del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia, Napoli e Palermo non sono mai state menzionate, non ha messo in risalto il loro stato d'abbandono e dei loro deboli segnali di ripresa (mi sarebbe piaciuto almeno un capitolo dedicato al confronto tra Napoli, Palermo e Bari con ex capitali decadute come Saigon, Bonn e Caracass). Soprattutto la città partenopea, città in cui i lati positivi e negativi del Sud vengono elevati al quadrato. E proprio Napoli è parsa bistrattata.

Già dalla parte in cui Aprile era a Sbig (paesino ufficialmente in Provincia di Benevento, ma praticamente in una terra di nessuno tra Puglia, Campania e Molise) si legge:"Dove si butta la monnezza degli altri? Al Sud. Quella del Sud? Più a Sud: a Sbig. E ti pare che ci facevamo mancare la discarica? Il miracolo temporaneo di Napoli ripulita eccolo là": appena sotto il paese, giusto addosso alla pigra valletta del riscello; è uno dei posti lontano dagli occhi e dalle telecamere in cui furono sversati i rifiuti partenopei. E' la proprietà distributiva della monnezza: quella tossica del Nord finisce al Sud, specie in terra camorrae; e da lì democraticamente divisa, un po' a ciascuno, ai paesini dell'interno, per i quali nessuno strillerà ai telegionarli".

Cosa ha voluto dire? Che forse Napoli ha tratto qualche giovamento dalla martellante campagna diffamatoria per un'emergenza rifiuti (finita da più di un anno, senza che Aprile lo dica neanche una volta) voluta dalle lobby governative in combutta con la camorra? Crede che sia stato un vantaggio che "si strilli ai telegiornali"? Crede che questa macchina del fango abbia reso Napoli più importante? Se proprio si vuole andare a trovare delle disparità all'interno del Sud, avrebbe dovuto parlare delle croniche emergenze rifiuti di Palermo, di Potenza, di Reggio Calabria, di Foggia ignorate dai media (e sono contento che non ne abbia parlato nessuno per non danneggiare ulteriormente l'immagine del Sud, sia ben chiaro).

Sempre in tema di spazzatura, la Campania esce con le ossa rotte da questo libro. Non è stato detto nulla (non una riga) per sfatare questi luoghi comuni, di cui tutta la Campania ne ha sofferto. Non è stato detto nulla su Salerno, città sorprendente, che ha strabiliato l'Europa per la sua pulizia, la cui civiltà è diventata proverbiale anche al Nord; non è stato detto nulla sulla Provincia di Caserta, descritta come una giungla in cui vige solo la camorra, in cui solo 7 Comuni hanno una percentuale di differenziata inferiore al 30%; non è stato detto nulla sulle percentuali di differenziata dei Comuni dell'Area Vesuviana, di cui pochi al di sotto del 40%; non è stato detto nulla sui quartieri di Napoli in cui è stata estesa la raccolta differenziata porta a porta e 7 di loro raggiungono quote superiori al 95%; non ha parlato di Scampia, area degradata e diffamata che non necessita di presentazioni, la cui differenziata è al 70%; avrei voluto qualche riga spesa sulle rivolte di Terzigno per difendere il Parco Nazionale del Vesuvio dall'ennesima discarica, sul duopesismo delle proteste di Chiaiano e della No-Tav, così come pure il razzismo, la cattiveria verso il Sud amplificati verso Napoli, al quale ha dedicato la miseria di 3 pagine, forse le più brutte del libro; non ha detto nulla sugli scavi di Pompei che si sgretolano nell'indifferenza generale, scevri di fondi scippati dal Nord; non ha detto nulla sugli scempi dell'amianto a Bagnoli; mi sarebbe piaciuto anche un capitolo dedicato all'anomalo attaccamento della città alla propria squadra di calcio, che non è, come ad una prima analisi può apparire, semplice superficialità.

Per la città è l'unica cosa di cui andarne orgogliosi, l'unica cosa alla quale non hanno denigrato il passato per rubarle il futuro, l'unica cosa rispettata, l'unico punto di riferimento, perché sentito come proprietà comune e non "di altri"; avrei voluto un viaggio intorno a quelle persone che lavorano per i circoli culturali e devono convivere con il pregiudizio di molti; avrei voluto un viaggio negli stabilimenti di Pomigliano D'Arco, Melfi e Termini Imerese in cui gli operai vengono trattati come bestie; avrei voluto dei capitoli sulle famose industrie napoletane del periodo borbonico e il confronto con lo squallore attuale; avrei voluto capitoli che aiutassero l'ex capitale meridionale ad avere fiducia in se stessa, a riscoprire il suo passato, a constatare che la sua storia e la sua cultura non è inferiore a nessuno e,anzi, superiore a quella di alcuni, a far capire ai suoi abitanti che anche per loro, forse c'è un futuro. Invece, Pino Aprile ha selezionato una sola parte del Sud che viene costantemente ignorata per un processo orwelliano di "evaporazione". Non parlarne, così smettono di esistere, verranno distrutte. Ed è giusto che queste Regioni, patria della cultura e civiltà europea, sfruttate oltre l'inverosimile, riacquistino la propria dignità e il proprio orgoglio, ma allora si dovrebbe cambiare il titolo in:"Giù in Calabria e in Puglia" e non "Giù al Sud", perché, se queste Regioni sono parti integranti del Sud, trovo sia sbagliato, ed anche ingiusto, identificare tutto il Sud, interamente in loro.

Altro punto che mi lascia molto perplesso è quello riguardante gli indipendentismi delle Regioni. L'indipendentismo in questione è quello siciliano. Aprile fa una storia a dir poco perfetta di come i siciliani acquistarono il loro Statuto speciale e dei loro movimenti di indipendenza dai Borbone. Io sono del parere che un vero meridionalista non può appoggiare movimenti che tendono a scindere il Sud, se non come folklore. Sostengo la diversità di cultura e di storia delle Regioni meridionali, ma il Sud unito è un valore imprescindibile. E, a proposito di indipendentismo, è stato ignorato quello beneventano e della fantomatica Regione del Molisannio. Condannabili entrambi, ma il secondo ignorato i il primo no.

Ci sono diverse chiavi di lettura per questa scelta, quantomeno discutibile, di Pino Aprile di escludere totalmente la Campania dal suo libro (non la menziona nemmeno nell'elenco degli svantaggi che le Regioni del Sud potrebbero avere in un federalismo in salsa leghista). Forse non voleva ripetere l'errore, comune, banale e irritante di identificare tutto il Sud con Napoli? Ma allora perché ha ignorato tutte le altre grandi città del Sud? Forse ritiene Napoli e la Campania troppo degradati e degradanti per poterle menzionare in un libro atto a costituire un riscatto del Sud? Non sarebbe da lui. Forse ha voluto, con questo libro, difendere il resto del Sud dall'immagine negativa che la Campania e Napoli hanno regalato in questi ultimi anni? Usando malizia e dietrologia e non conoscendo Pino Aprile, potrebbe darsi. Sta di fatto che è stato un errore troppo grosso aver trascurato una fetta del Sud così importante che contribuisce alla poca crescita che c'è al Sud, che contribuisce all'immagine del meridionale all'estero e in Italia, una fetta che attendeva il riscatto, ferita, che ha avuto una delusione da parte di un amico.

Non può esistere un progetto plausibile di meridionalismo senza Napoli e la Campania e, finché essi verranno ignorati, la sua opera non può dirsi completa, anzi, quasi offensiva dato che dà l'impressione di non considerarle Sud. Aprile scrive un libro quasi perfetto ma cade su tali banalità. Ignora le richieste d'aiuto di una Regione-chiave per il Sud che di aiuto ne necessita eccome. "Giù al Sud", per concludere, è un libro stupendo e deludente al contempo.