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lunedì 17 dicembre 2012

Il decreto di Ferdinando I di Borbone sull'immigrazione del 17 dicembre 1817

Ecco il decreto promulgato il 17 dicembre 1817 da Ferdinando I sull'immigrazione all'interno del Regno Delle Due Sicilie. Anche qui il Sud era avanti anni luce rispetto alle altre nazioni anche dell'attuale Italia.


“Ferdinando I, Per la grazia di Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro, Gran Principe ereditario di Toscana”, è la sequenza dei titoli che precedono il testo della legge che, sin dal preambolo, chiarisce che a poter beneficiare della concessione della cittadinanza potranno essere solo chi è utile allo Stato: “Volendo dare un attestato della nostra benevolenza verso di quegli stranieri i quali pe’ loro talenti, pe’ loro mezzi, o per via di contratti vincoli si rendono giovevoli allo Stato, con accordar loro il godimento di quei diritti, che dalla naturalizzazione risultano …Abbiamo risoluto di sanzionare, e sanzioniamo la seguente legge”.
Nell’articolo I si precisa che “potranno essere ammessi al beneficio della naturalizzazione del nostro regno delle Due Sicilie”, nell’ordine:
1. Gli stranieri che hanno renduto, o che renderanno importanti servizi allo Stato;
2. Quelli che porteranno dentro lo Stato de talenti distinti, delle invenzioni, o delle industrie utili;
3. Quelli che avranno acquistato nel regno beni stabili, su i quali graviti un peso fondiario almeno di ducati cento all’anno.
Al requisito indicato né suddetti numeri 1, 2, 3 debbe accoppiarsi l’altro del domicilio nel territorio del regno almeno per un anno consecutivo.
4. Quelli che abbiano avuta la residenza nel regno per dieci anni consecutivi, e che provino avere onesti mezzi di sussistenza; o che vi abbiano avuta la residenza per cinque anni consecutivi, avendo sposata una nazionale.

martedì 6 dicembre 2011

Striscioni e bandiere borboniche allo stadio San Paolo in Napoli-Juventus

Martedì scorso si è recuperata la partita di campionato, rinviata per pioggia, Napoli-Juventus. E' una partita sentitissima essendo un derby in piena regola: in Campania, il 70% dei tifosi non napoletani tifa per la Juventus. Lo stadio era stracolmo come previsto, solo che questa volta c'era una particolarità.

La tifoseria napoletana è sempre stata estranea a ragioni "politiche" (le virgolette sono necessarie in quanto la politica fatta negli stadi ha un che di molto superficiale, approssimato e propagandata da persone che non sono certamente dei geni), nelle curve del Napoli non sono mai state viste, a memoria d'uomo

croci celtiche, svastiche o striscioni riportanti motti fascisti come nelle curve di tante tifoserie affiliate a Forza Nuova (Verona, Lazio e Roma in particolare), e quest'anno ha voluto rompere la tradizione inserendo una coreografia che avrebbe dovuto far molto discutere,

invece è passata nel più totale silenzio dai media menefreghisti di notizie non utili per grandi scoop di cronaca. E' stata creata una maxi coreografia formata dal seguente bandierone:

Accompagnato da questo striscione:


Sono immagini inneggianti al Regno delle Due Sicilie, ai Borbone e ad una visione relativista dell'unità d'Italia, da un punto di vista diverso, però, di quello leghista basato solo su razzismo e su violenza inutile.

E queste immagini avrebbero dovuto comparire in tv, avrebbero dovuto dedicare interi talk show al riguardo, invece di occupare le ore serali del venerdì a perdersi in congetture lucrando sulle disgrazie altrui. Avrebbero dovuto discutere (specie qualche mese fa) sul significato di unità d'Italia,

se questa ha effettivamente messo tutti d'accordo, avrebbero dovuto muovere critiche, si sarebbero dovuti sciogliere dubbi, avremmo avuto bisogni di chiarimenti, avremmo voluto che, in occasione del 150esimo anno dell'unità, la stessa si completasse.

Inutile dire che si è scelto, italianamente, di non agire, di lasciare che i problemi vadano da sé, di sorvolare certe questioni, di bollare chi le muove come "sovversivi" , come "ignoranti" , come stolti da trattare con un misto di arroganza, pietà, tenerezza, rabbia e compassione per avere ancora dubbi in merito ad una divinità.

Come già abbondantemente riferito da Pino Aprile e altri scrittori che denunciano le disuguaglianze e le ingiustizie protrattesi dall'unità d'Italia fino ad oggi, le celebrazioni sono state una terribile occasione mancata. Si è voluta l'esaltazione, l'apoteosi, la decimazione fascista che etichetta coloro che non prendono parte alle sfilate del Duce come "comunisti" e "traditori della patria", e, purtroppo, non tutti coloro che hanno vissuto i 150 anni dell'unificazione saranno presenti al 200esimo.

E così, se vale il famoso proverbio Errare è umano, perseverare è diabolico, cosa risponderebbe Aristotele al sillogismo: "Tutti coloro che errano sono umani. Gli italiani non errano, perseverano. Dunque gli italiani sono...."?

E' troppo facile, ennesima parte della recita allo scaricabarile tutto italiano concedere paternalisticamente che, al momento dell'unità, sono stati commessi degli errori dallo Stato maggiore. Così sono nate le tragedie e così riescono ancora a vivacchiare pensieri apologetici di nazismo.

Ma lasciando perdere le annose questioni concernenti i numerosissimi "errori" dell'unificazione italiana, non vorrei perdere il filo con il principale argomento di questo post. Al San Paolo sono comparsi, per la prima volta, degli striscioni con rivendicazioni identitarie, esposti dal popolino, non dal topo da biblioteca, dal professorone saccente o dal bizzarro "nerd" complottista di turno.

Ed è proprio questo che mi fa riflettere in maniera diversa. Siamo sicuri che è un fattore positivo il fatto che tutti espongano simili striscioni provocatori senza neanche conoscerne il vero significato? E' positivo il dilagarsi del "neoborbonismo"?  Io direi di no!

A me vengono subito in mente le pagliacciate di cui la Lega è sovrana indiscussa ed indiscutibile, dalla gente travestita da Obelix e Asterix ai comizi alla raccolta dell'acqua (tossica) del Po; dal "Parlamento Padano" allo "Statuto Leghista".

Manifestazioni di fatti così importanti, storici, delicati come il Risorgimento, il revisionismo, il Complotto Carbonaro, le influenze massoniche, esoteriche, giacobine, le leggi dell'economia che condannano o alzano in cielo il Regno delle Due Sicilie non sono alla mercé di tutti.

E gli argomenti sono ulteriormente complicati dal fatto che esistano ben poche fonti neutrali e obiettive; sono frequenti, difatti, solo testi apologetici o avversi ai Borbone. Non si può, quindi, giudicare con razionalità, con lucidità.

Se poi aggiungiamo a tutto questo l'amplificarsi dei sentimenti, delle emozioni, della perdita della ragione dovuta alla primordiale riunificazione col branco che una partita di calcio porta con sé, appare molto difficile che gli autori degli striscioni siano a conoscenza di elementi sufficienti per un giudizio parziale.

E, visto che gli stadi non sono proprio dei cenacoli in cui si ritrovano filosofi e sapienti a discutere civilmente di maieutica, di metafisica e di teoremi di analisi matematica infinitesimale, potrei giurare che tra le molte persone che hanno applaudito, il più istruito aveva la V elementare.

Non si fa così revisionismo storico, non si recuperano le origini stuprate di Napoli attraverso simili sciocchezze. Rendere una denuncia, una seria opposizione, una documentata smentita di un piano massonico un banale coro da stadio, un linciaggio intellettuale effettuato da persone non all'altezza delle idee che professano

è esattamente ciò che potrebbero aver progettato. Così facendo, le rivendicazioni partenopee e meridionali rimarrebbero inascoltate con il pretesto (giusto, stavolta) di non poter certo dare credito agli "ultras" e il fatto stesso che questi dichiarino simili ideali è un segno di degrado dell'ideologia, è la negazione di sé stessa.

Perciò io dico, lasciamo le pagliacciate alla Lega e i movimenti, le organizzazioni, le rivendicazioni a noi del Sud. Ma, vedo, stiamo scendendo più giù già da molto tempo.