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lunedì 17 dicembre 2012

Il decreto di Ferdinando I di Borbone sull'immigrazione del 17 dicembre 1817

Ecco il decreto promulgato il 17 dicembre 1817 da Ferdinando I sull'immigrazione all'interno del Regno Delle Due Sicilie. Anche qui il Sud era avanti anni luce rispetto alle altre nazioni anche dell'attuale Italia.


“Ferdinando I, Per la grazia di Dio, Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro, Gran Principe ereditario di Toscana”, è la sequenza dei titoli che precedono il testo della legge che, sin dal preambolo, chiarisce che a poter beneficiare della concessione della cittadinanza potranno essere solo chi è utile allo Stato: “Volendo dare un attestato della nostra benevolenza verso di quegli stranieri i quali pe’ loro talenti, pe’ loro mezzi, o per via di contratti vincoli si rendono giovevoli allo Stato, con accordar loro il godimento di quei diritti, che dalla naturalizzazione risultano …Abbiamo risoluto di sanzionare, e sanzioniamo la seguente legge”.
Nell’articolo I si precisa che “potranno essere ammessi al beneficio della naturalizzazione del nostro regno delle Due Sicilie”, nell’ordine:
1. Gli stranieri che hanno renduto, o che renderanno importanti servizi allo Stato;
2. Quelli che porteranno dentro lo Stato de talenti distinti, delle invenzioni, o delle industrie utili;
3. Quelli che avranno acquistato nel regno beni stabili, su i quali graviti un peso fondiario almeno di ducati cento all’anno.
Al requisito indicato né suddetti numeri 1, 2, 3 debbe accoppiarsi l’altro del domicilio nel territorio del regno almeno per un anno consecutivo.
4. Quelli che abbiano avuta la residenza nel regno per dieci anni consecutivi, e che provino avere onesti mezzi di sussistenza; o che vi abbiano avuta la residenza per cinque anni consecutivi, avendo sposata una nazionale.

lunedì 14 maggio 2012

FORA I SAVOIA... dalla toponomastica meridionale!

Qualcuno ha mai sentito parlare di una Via Hitler o Piazza Stalin? No, perché, giustamente, la Storia ha condannato questi due deprecabili personaggi a causa delle loro politiche disastrose e per i milioni di morti sulla coscienza di entrambi.

Noti gli eccidi, le torture e gli omicidi di Garibaldi, Cialdini, Pier Eleonoro Negri, Mazzini e altri macellai come mai ci sono in tutte le città italiane piazze e luoghi pubblici a loro dedicati? E' segno di una deprecabile arretratezza culturale che è legata indissolubilmente all'Italia come un gancio che ci costringe a portar dietro il marciume della Storia.

In altri Paesi, molto più civili, come il Giappone, la Germania e la Svizzera, dove hanno capito i propri errori passati, i libri sono stati riscritti, il progresso non si è fermato. L'Italia, invece, continuerà a rimanere attaccata ai discutibili personaggi che l'hanno "unificata.

Ancora una domanda. Come mai nelle città del Sud non sono presenti Piazze o opere pubbliche dedicate alla sua storia? La risposta corretta dovrebbe essere:"Perché non si vogliono lasciare stralci dei loro passati preunitari". In ogni caso sarebbe un gesto sbagliato, ma come mai al Nord ci sono strade e monumenti che traboccano di citazioni e nomi dei Medici, dei Savoia, degli Sforza, dei Papi che hanno scritto la storia del Vaticano?

Al Sud non c'è nulla dedicato, ad esempio, ai Borbone, salvo la statua equestre di Ferdinando I al centro di Piazza Plebiscito di Napoli e, sempre nell'ex capitale duosiciliana, Piazza Carlo III. E' stato persino svelto il busto di Ferdinando II dalla facciata di Palazzo Reale, raffigurante i Re di Napoli.

Senza tante prese in giro, al Sud è stata eliminata la memoria in maniera orwelliana e questi gesti ne sono la dimostrazione. Perché io, meridionale, devo avere le piazze delle mie città con nomi che mi sono estranei? Perché devo avere Piazza Garibaldi, Piazza Dante, Cavalleggeri d'Aosta, Piazza Amedeo, Piazza Trieste e Trento, Via dei Mille, Piazza Cavour, Via Firenze, Via Bologna, Corso Novara e scuole dedicate a Margherita di Savoia e Duchessa d'Aosta?

mercoledì 18 aprile 2012

Viva il Regno delle Due Sicilie (s.p.a.) !

Ebbene sì, non c'è una sola idea della quale non se ne sia servita la stupidità, per citare Musil. Il Regno dell Due Sicilie è, negli ultimi anni, oggetto di revisionismo storico: monarchia assoluta o illuminata? Terra di latifondo o di progresso? Borbone mecenati o retrogradi sovrani? E i "briganti" che si opposero ai piemontesi furono delinquenti o eroi? Difensori della Patria o dei loro clan "camorristici"?

Questi e molti altri quesiti interessantissimi che riguardano il Risorgimento stanno riemergendo. Ma, al di là dei meriti dei suddetti dubbi, ho avuto modo di imbattermi in cose che mi hanno lasciato esterrefatto: gadget con sopra impresso il simbolo duosiciliano di tutti i tipi, dalle bandiere ai cuscini, dalle tazze ai portachiavi.

Passato lo sgomento iniziale, mi sono tornate alla memoria le leggi della Storia, argomento di dispute filosofiche da Plotino a Nietzsche, da Epicuro a Hegel, secondo cui la Storia va avanti secondo leggi statiche ed immutabili e ogni processo del Geist hegeliano accada in funzione di queste. E mi sono tornati alla memoria anche gli anni adolescenziali del sottoscritto, in cui era più al di là che al di qua della sottile linea di demarcazione tra l'idealismo e l'ingenuità.

Erano anni passati con la voglia di cambiare il mondo, senza sapere che cosa sia effettivamente, di voler cambiare il futuro senza pensarci poi tanto. Erano anni passati con i falsi miti libertari e rivoluzionari del comunismo, della realizzabilità dell'anarchia, di personaggi come Bakunin. Erano anni passati con la divinità di Ché Guevara le cui biografie occupavano tutta una giornata, tra un canto di Pablo Neruda e un disco dei Pink Floyd. E proprio sulla figura dell'argentino vorrei soffermarmi.

Fu un indiscutibile mito di democrazia, di cambiamento, così in voga a quei tempi. Purtroppo è diventato, col passare degli anni, un marchio commerciale, capitalista (povero lui..) come l'Adidas o la Nike. La causa qual è? Chi può dirlo?! L'unica cosa certa è che lo hanno ucciso come nessuna spia statunitense, acerrimi nemici del Ché, avrebbe saputo fare. Il suo marchio è dappertutto, sui prodotti più impensati: maglie, felpe, cappelli, polsini, adesivi a mo' di immagine votiva che il popolino affigge sul retro della propria auto assieme a Maradona e a Padre Pio (non immaginando nemmeno l'imbarazzante lontananza tra i tre personaggi), persino sui pacchetti di sigarette.

Nel tentativo di renderlo immortale, paradossalmente, tutti lo hanno dimenticato. Ben pochi di coloro che espongono la sua effige sulla T-shirt conoscono la sua data di nascita o di morte, per non parlare delle sue missioni rivoluzionarie in Congo e in Bolivia. Se usassi dietrologia (che talvolta si confonde con intuizione) direi che sono stati proprio i servizi segreti della CIA, nota studiosa dei comportamenti della psiche umana, a inventare questo geniale metodo di distruzione di miti, a riuscire dove i dittatori del passato hanno fallito: se vuoi che un simbolo e qualsiasi cosa esso rappresenti venga distrutto e cancellato con bisogna vietarlo, bandirlo, cacciarlo, in modo da creare martiri. Bisogna sdoganarlo, bisogna ripeterlo ossessivamente finché non verrà connessa ad un'immagine comunissima e, come tale, priva di significato

Col Ché ci sono riusciti. Egli è stato umiliato come la sua ideologia, rivelatasi solo una fabbrica di miseria e distruzione, è morto insieme alle proprie idee di uguaglianza e democrazia che avrebbero potuto seriamente mettere in crisi "qualcuno". Ci sarebbero molti altri esempi da prendere in considerazione, ma reputo questo il più emblematico al fine della mia questione.

Lo stesso processo di sdoganamento è in atto verso il Regno delle Due Sicilie, portatore di un ritrovato orgoglio meridionale che potrebbe minare lo status quo nordista. Riprendendo l'esempio di Ché Guevara, le lobby nordiste governative (o, se risulta troppo paranoico, la gente che abbraccia simili teorie con la violenza e la superficialità di un tifoso allo stadio) potrebbero aver incentivato il mercato di tutti i gadget da me elencati precedentemente.

Così, bandiere, portacellulari, adesivi per frigo, poster e magliette sono mezzi con i quali si propaga, con un ultimo colpo di coda, la retorica savoiarda. Per cui lancio un appello a tutte le genti del Sud: non acquistate simili oggetti. Essi non hanno alcuna attinenza con il ritrovato orgoglio sudista, con la nuova vecchia identità; non sbandierate i vessilli borbonici negli stadi (leggi qui il mio articolo in proposito).

Lasciamo fare ai leghisti simili pagliacciate. Preoccupatevi di leggere, di documentarvi sull'argomento e di sviluppare i vostri pensieri e le vostre ricerche in maniera indipendente. Pensate con la vostra testa. Il vostro orgoglio meridionale si dimostra studiando la vostra Storia Vera, diventando cittadini esemplari, aiutando, con qualsiasi mezzo, la vostra terra.

lunedì 5 marzo 2012

Ancora bandiere duosiciliane durante Parma-Napoli

Ieri, durante la partita di campionato italiano di calcio di serie A, Parma-Napoli, ho notato una cosa forse sfuggita ai giornali. E' stato esposto nuovamente lo stendardo del Regno delle Due Sicilie. La tifoseria napoletana non è nuova a certe cose; che io ricordi, accaddero analoghi episodi in Manchester City-Napoli e in Napoli-Juventus. Non sono riuscito a rimediare delle foto e ho già trattato l'argomento, ma voglio ribadire ciò che ho già affermato.

La chiave di lettura è duplice: da una parte, mi fa assolutamente piacere che una popolazione tanto martoriata e infangata, riacquisti le nobili radici del suo passato e lo esponga come un vanto anziché lo nasconda come una vergogna come si faceva fino a poco tempo fa.

D'altra parte, però, rischia di sminuire il valore della riscoperta storica contro le bugie risorgimentali in atto negli ultimi anni. Si rischia di far passare tutto come un fenomeno "indegno", da stadio, si rischia di ridurre la Storia a sfottò tra curve di opposte tifoserie, si rischia di rovinare la nomea di tifoserie del Sud piene di calore e di allegria e farle diventare come quelle tifoserie incivili che "fanno politica" urlando insulti razzisti e sventolando croci celtiche o bandiere leghiste.

Certe cose lasciamole fare a loro. La Storia è ben altro

martedì 17 gennaio 2012

Meridionali africani? Forse sì, ma vediamo in che ottica

Trovo un'analogia molto spiccata tra gli africani, gli asiatici e i meridionali:




I primi hanno dato orgine all'umanità intera, sono stato i progenitori dei progenitori dei nostri padri. Da questo potrebbero trarre gloria e ricchezze, invece sono costretti ad emigrare e ad essere trattati come bestie, come rifiuti.


















I secondi hanno dato vita alle scienze tradizionali, all'ermetismo, all'alchimia, all'esoterismo. In Egitto, in India, in Cina, in Tibet si trovano i resti della più antica e savia conoscenza e virtù. Tutto questo oggi è ristretto solo ad una ristretta attività tra monaci eremiti elitari. Potrebbero essere trattati come principi, invece sono costretti ad emigrare e ad essere trattati come bestie, come rifiuti.












I terzi hanno insegnato la civiltà all'Europa moderna, locomotiva del mondo Occidentale, molto prima dell'Antica Roma. Il Sud Italia già era un ritrovo di antiche conoscenze ellenistiche, molte città sono state fondate ben prima di Roma, sono state terra di filosofi, matematici e geometri, hanno avuto un Regno indipendente e unitario per secoli, sono stati estranei alle guerre di religione e dinastiche dell'Europa del XVII secolo, avevano i sovrani e il Regno più sviluppato del mondo, sono stati distrutti, barbaramente colonizzati, usurpati e saccheggiati ed ora sono costretti ad emigrare, ad essere trattati come bestie, come rifiuti.



martedì 6 dicembre 2011

Striscioni e bandiere borboniche allo stadio San Paolo in Napoli-Juventus

Martedì scorso si è recuperata la partita di campionato, rinviata per pioggia, Napoli-Juventus. E' una partita sentitissima essendo un derby in piena regola: in Campania, il 70% dei tifosi non napoletani tifa per la Juventus. Lo stadio era stracolmo come previsto, solo che questa volta c'era una particolarità.

La tifoseria napoletana è sempre stata estranea a ragioni "politiche" (le virgolette sono necessarie in quanto la politica fatta negli stadi ha un che di molto superficiale, approssimato e propagandata da persone che non sono certamente dei geni), nelle curve del Napoli non sono mai state viste, a memoria d'uomo

croci celtiche, svastiche o striscioni riportanti motti fascisti come nelle curve di tante tifoserie affiliate a Forza Nuova (Verona, Lazio e Roma in particolare), e quest'anno ha voluto rompere la tradizione inserendo una coreografia che avrebbe dovuto far molto discutere,

invece è passata nel più totale silenzio dai media menefreghisti di notizie non utili per grandi scoop di cronaca. E' stata creata una maxi coreografia formata dal seguente bandierone:

Accompagnato da questo striscione:


Sono immagini inneggianti al Regno delle Due Sicilie, ai Borbone e ad una visione relativista dell'unità d'Italia, da un punto di vista diverso, però, di quello leghista basato solo su razzismo e su violenza inutile.

E queste immagini avrebbero dovuto comparire in tv, avrebbero dovuto dedicare interi talk show al riguardo, invece di occupare le ore serali del venerdì a perdersi in congetture lucrando sulle disgrazie altrui. Avrebbero dovuto discutere (specie qualche mese fa) sul significato di unità d'Italia,

se questa ha effettivamente messo tutti d'accordo, avrebbero dovuto muovere critiche, si sarebbero dovuti sciogliere dubbi, avremmo avuto bisogni di chiarimenti, avremmo voluto che, in occasione del 150esimo anno dell'unità, la stessa si completasse.

Inutile dire che si è scelto, italianamente, di non agire, di lasciare che i problemi vadano da sé, di sorvolare certe questioni, di bollare chi le muove come "sovversivi" , come "ignoranti" , come stolti da trattare con un misto di arroganza, pietà, tenerezza, rabbia e compassione per avere ancora dubbi in merito ad una divinità.

Come già abbondantemente riferito da Pino Aprile e altri scrittori che denunciano le disuguaglianze e le ingiustizie protrattesi dall'unità d'Italia fino ad oggi, le celebrazioni sono state una terribile occasione mancata. Si è voluta l'esaltazione, l'apoteosi, la decimazione fascista che etichetta coloro che non prendono parte alle sfilate del Duce come "comunisti" e "traditori della patria", e, purtroppo, non tutti coloro che hanno vissuto i 150 anni dell'unificazione saranno presenti al 200esimo.

E così, se vale il famoso proverbio Errare è umano, perseverare è diabolico, cosa risponderebbe Aristotele al sillogismo: "Tutti coloro che errano sono umani. Gli italiani non errano, perseverano. Dunque gli italiani sono...."?

E' troppo facile, ennesima parte della recita allo scaricabarile tutto italiano concedere paternalisticamente che, al momento dell'unità, sono stati commessi degli errori dallo Stato maggiore. Così sono nate le tragedie e così riescono ancora a vivacchiare pensieri apologetici di nazismo.

Ma lasciando perdere le annose questioni concernenti i numerosissimi "errori" dell'unificazione italiana, non vorrei perdere il filo con il principale argomento di questo post. Al San Paolo sono comparsi, per la prima volta, degli striscioni con rivendicazioni identitarie, esposti dal popolino, non dal topo da biblioteca, dal professorone saccente o dal bizzarro "nerd" complottista di turno.

Ed è proprio questo che mi fa riflettere in maniera diversa. Siamo sicuri che è un fattore positivo il fatto che tutti espongano simili striscioni provocatori senza neanche conoscerne il vero significato? E' positivo il dilagarsi del "neoborbonismo"?  Io direi di no!

A me vengono subito in mente le pagliacciate di cui la Lega è sovrana indiscussa ed indiscutibile, dalla gente travestita da Obelix e Asterix ai comizi alla raccolta dell'acqua (tossica) del Po; dal "Parlamento Padano" allo "Statuto Leghista".

Manifestazioni di fatti così importanti, storici, delicati come il Risorgimento, il revisionismo, il Complotto Carbonaro, le influenze massoniche, esoteriche, giacobine, le leggi dell'economia che condannano o alzano in cielo il Regno delle Due Sicilie non sono alla mercé di tutti.

E gli argomenti sono ulteriormente complicati dal fatto che esistano ben poche fonti neutrali e obiettive; sono frequenti, difatti, solo testi apologetici o avversi ai Borbone. Non si può, quindi, giudicare con razionalità, con lucidità.

Se poi aggiungiamo a tutto questo l'amplificarsi dei sentimenti, delle emozioni, della perdita della ragione dovuta alla primordiale riunificazione col branco che una partita di calcio porta con sé, appare molto difficile che gli autori degli striscioni siano a conoscenza di elementi sufficienti per un giudizio parziale.

E, visto che gli stadi non sono proprio dei cenacoli in cui si ritrovano filosofi e sapienti a discutere civilmente di maieutica, di metafisica e di teoremi di analisi matematica infinitesimale, potrei giurare che tra le molte persone che hanno applaudito, il più istruito aveva la V elementare.

Non si fa così revisionismo storico, non si recuperano le origini stuprate di Napoli attraverso simili sciocchezze. Rendere una denuncia, una seria opposizione, una documentata smentita di un piano massonico un banale coro da stadio, un linciaggio intellettuale effettuato da persone non all'altezza delle idee che professano

è esattamente ciò che potrebbero aver progettato. Così facendo, le rivendicazioni partenopee e meridionali rimarrebbero inascoltate con il pretesto (giusto, stavolta) di non poter certo dare credito agli "ultras" e il fatto stesso che questi dichiarino simili ideali è un segno di degrado dell'ideologia, è la negazione di sé stessa.

Perciò io dico, lasciamo le pagliacciate alla Lega e i movimenti, le organizzazioni, le rivendicazioni a noi del Sud. Ma, vedo, stiamo scendendo più giù già da molto tempo.







giovedì 17 novembre 2011

Risposta a Beppe Severgnini nella rubrica "Italians" sull'Unità d'Italia

Aprendo "Sette", il settimanale del Corriere della Sera in edicola tutti i giovedì, mi trovo a leggere questa lettera inviata da un certo Umberto Brusco alla rubrica Italians di Beppe Severgnini.

Il nome della lettera non poteva che attirare la mia attenzione: era intitolata "Chi ha voluto l'Unità d'Italia" e il testo è il seguente:




Caro Severgnini, ho appena finito di leggere il libro di Lorenzo Del Boca Polentoni, sottotitolo Come e perché il Nord è stato tradito, e quello di Pino Aprile Terroni, sottotitolo Tutto quello che è stato fatto perchè gli italiani del Sud diventassero meridionali.
Da entrambi si evince che i soli piemontesi, coadiuvati dai loro cugini francesi, volessero l'Unità d'Italia. Il Veneto stava meglio con gli austriaci e il Sud con i Borboni. Le mie domande: chi è che ha voluto l'unità d'Italia a parte i piemontesi? Perché a scuola i testi sul Risorgimento sono ancora così poco fedeli?



Domanda giustissima ed elegante a mio avviso di chi gli ha chiesto, in termini più rozzi, "Chi li vuole 'sti veneti? E perché non si parla della grandezza di Napoli?"

Ed ecco la risposta di Beppe Severgnini:



E se a esser poco fedeli fossero certi libri a tesi? Sarei pronto a scommettere che, alla domanda secca in un referendum ("Volete rinunciare all'Italia unita?"), la maggioranza di noi risponderebbe "No!". Certo, i problemi ci sono e sono grandi: ma le responsabilità sono di tutti. Il clamoroso ritardo del Sud-caso unico tra le regioni svantaggiate d'Europa-è un fallimento collettivo: di tutti noi italiani, dovunque abitiamo e siamo nati. E invece no, non lo vogliamo ammettere. Il nostro motto - da cucire sul tricolore - non cambia mai: "E' stata tua la colpa!". Tanti settentrionali accusano i meridionali, molti meridionali sospettano dei settentrionali, tutti additano il Centro (Roma). E' un modo per non assumersi le proprie responsabilità. E questo sì è davvero molto italiano.


Il sottoscritto non è capace di star zitto leggendo queste cose, per cui stamattina stesso gli ho inviato il seguente messaggio:







Caro Severgnini, ho letto stamattina la sua risposta a Umberto Brusco sulla sua rubrica "Italians". Le vorrei porgere delle domande con la stessa sincerità con cui mi confido ad un amico,se permette, non la solita lettera di pubblicazione. In che modo la rivendicazione della cultura meridionale cancellata dal Risorgimento a suon di deportazioni e distruzioni a tappeto di almeno 81 paesi del Meridione (tra i quali Pontelandolfo a cui sono arrivate tardive e inutili scuse ad agosto di quest'anno), tutte con fonti documentate, cancelli la presa di responsabilità di ognuno? Non crede che invece la riscoperta di una storia gloriosa, soppiantata da una retorica savoiarda prima e fascista poi,sia uno stimolo ad impegnarsi? Se l'unità odierna scontenta sia "gli instancabili lavoratori" veneti che la "feccia fannullona" dei terroni un motivo ci sarà, no? Dire che la Germania ha invaso la Polonia nel '39 equivale ad un esonero di responsabilità da parte dei polacchi e uno scaricabarile sui tedeschi? Perché non dovrebbe essere così anche in Italia? Non crede che l'Italia tutta possa migliorare dal cambiamento di politiche ostili ad aree arretrate come il Meridione (a causa della politica stessa) per poter trovare una risorsa come fece la Germania Ovest dopo la Guerra? Non crede che nell'attualità dovremmo stampare sul tricolore l'espressione napoletana "E je ch'aggia fa!?" ("Io che ci posso fare!?")in segno di impotenza? E non crede che questa stessa impotenza sia acquisita da 150 anni di senso di minorità? I 150 anni di celebrazioni sono stati un'occasione sprecata per rendere giustizia alla Storia. E ancora si è scelto di non agire, molto italianamente. Io avrei tante altre domande da porle, ma io spero che ci rifletta e non importa se non mi dovesse pubblicare (non l'ho scritta per questo scopo). Lei è una persona che vale, non si lasci trasportare da soliti, banali luoghi comuni, la prego.




















Ho scritto nel post, in breve per limite di spazio, tutto ciò che volevo dire. Io torno a ripetere che non credo nei vangeli né nelle Bibbie per cui non prendo per oro colato ciò che è scritto in qualsiasi libro o su internet. E chi mi conosce e chi ha letto anche i miei post precedenti sa bene le misure, talvolta drastiche, che prenderei

nei confronti di meridionali e soprattutto napoletani che non rispettano la propria città e le regole di convivenza civile e morale. Eppure io abbraccio la gran parte delle teorie che vedono il Sud come una grande potenza e ora ridotto in miseria da un manipolo di delinquenti che perseverano negli stessi errori, danneggiando anche se stessi pur di non avvantaggiare l'altro.

E io mi reputo essere un grande responsabile. La riscoperta della grandezza delle mie origini mi ha portato ad avere più rispetto, più civiltà per chi mi sta intorno e per la mia terra e se l'ho fatto io, non capisco perché non debbano farlo anche gli altri. Ci rifletta ancora signor Severgnini.

venerdì 28 ottobre 2011

La morte di Gheddafi. Dall'antichità il complotto ancora persiste.







Girando per Internet ho trovato questo video su Gheddafi, recentemente ucciso dai "ribelli" libici. Nel video si descrive un Gheddafi che è l'esatto opposto del mostro che si dedica solo alle infermiere sexy e che trucida chiunque la pensi diversamente da lui.

Viene descritto come un eroe, come un salvatore dell'Africa dalle grinfie Occidentali, come colui che si è sacrificato per il popolo libico, che è stato assassinato dalla NATO. E non è il solo a pensarla in tali termini. Girando per la Rete, si può notare uno stuolo di utenti

fermamente convinti o della legittimità e della giustizia del governo di Gheddafi(anche se non ho visto tanta difesa quando ha incontrato Berlusconi) o che il cadavere mostrato alla tv è in realtà suo figlio. Questa gente fa parte della schiera di persone (sono sempre le stesse) che divulgano la storia dell'11 settembre come auto-attentato di Bush

realizzato in modo tale da avere un'ottima scusa per invadere terre ricchissime di petrolio e che Osama Bin Laden non è mai esistito, e, di conseguenza, non potrà mai essere stato ucciso (e di quest'ultima teoria condivido un bel po' di cose).

Era inevitabile che la storia si ripetesse anche a proposito di Gheddafi e della guerra in Libia. Così, dopo le teorie che vedrebbero Jimi Hendrix, Hitler, Elvis Preasley ancora vivi, Micheal Jackson ucciso dal suo medico personale e Walt Disney ibernato in una cella, anche questa vicenda è stata oggetto di varie speculazioni al riguardo.

La teoria del complotto non ha inizio e non avrà fine. Essa non è mai nata. E' sempre esistita (mi scusino i cristiani per la mia citazione rubata). Fin dall'inizio dell'uomo si sono avute dispute irrealizzate con tantissime teorie tra esse contrastanti.

Mi riferisco, ovviamente, al misterioso "anello mancante" tra Homo Sapiens e la nostra specie evoluta: l'uomo di Neanderthal. Come è potuto scomparire all'improvviso, estinguersi senza lasciare eredi? E, tornando ancora indietro, come si sono estinti i dinosauri?

La versione più acclarata dalla scienza è che la loro estinzione è avvenuta in seguito ad una glaciazione che ha fatto sparire il cibo commestibile per loro, oppure un'altra più "spirituale" è che si siano estinti grazie ad una pioggia di meteoriti, evento che, secondo molti "apocalitto-complottisti" si ripeterà estinguendo la razza umana.

Andando molto molto più avanti nella Storia dell'uomo, la teoria del complotto ha trovato terreno fertile nel Medioevo. L'abbandono improvviso di Carlo V, l'assassinio di Thomas Becket nella Cattedrale di Canterbury, le varie uccisioni all'ordine del giorno di papi, re, imperatori e vescovi hanno dato adito a tante storie intorno a molte organizzazioni esoteriche (Illuminati, primi scorci di Massoneria, Opus Dei e tantissime altre).

E, con modalità differenti, con motivazioni diverse e con diversi intenti, questi complotti (o pseudo-tali) hanno perdurato fin'oggi. Ebbene, io dopo aver letto numerosissimi libri sull'esoterismo, sulle società segrete, su riti iniziatici e quant'altro sono arrivato ad un'unica conclusione certa: la teoria del complotto non potrà mai essere né smentita né confermata. La sua definizione la destina a rimanere in un limbo dove tutto e il-contrario-di-tutto coesistono senza alcun problema

e dove nessuno potrà esprimere delle considerazioni veritiere al riguardo senza essere coinvolti direttamente a meno di non cadere nella banalità e nella superficialità. Per cui, io scelgo la fronda dinnanzi a qualsiasi argomento. Non possiamo conoscere la verità. La Verità (con la "V" maiuscola) esiste, ma è a noi incomprensibile, una specie di metafisica kantiana tanto per intenderci.

E vi pongo un altro dubbio. Come immaginiamo, tra 200-300 anni, la futura Storia di questo momento dell'Italia? Quest'epoca sarà descritta come un'oasi di pace oppure una trincea? Ad esempio, Berlusconi visto, in un modo o nell'altro, come un danno arrecato all'Italia, come sarà descritto?

Probabilmente la storiografia ufficiale vedrà questa come un'epoca travagliata e Berlusconi non certo una figura positiva per le sorti del Paese. Ma non credete che fiorirà una letteratura parallela in difesa di Berlusconi e dirà che l'Italia viveva in pace e nel benessere grazie a lui?

E, quindi, chiunque vedrà Berlusconi come un male, in futuro, sarà visto come un "conformista", uno "schiavo", un "lobotomizzato" solo perché segue ciò che la Storia dice, a prescindere da come la pensa per davvero. E coloro che vedranno Berlusconi come un bene diventeranno degli "eroi oppressi", degli "intellettuali incompresi", dei "divulgatori della verità".

E si arriverà al paradosso che, un domani, Berlusconi potrà essere davvero un martire del libero pensiero quando ora è l'impegnato numero uno nel reprimerlo. E la stessa cosa sarà per tutto. Noi studiamo, impariamo il passato dai vincitori. Non sapremo mai la verità a proposito di alcunché. E ad esprimere questo pensiero sono i più grandi filosofi esistenti, da Voltaire ad Hegel, passando per Eco e Orwell.

E ora dirò una cosa che mi farà un bel po' di nemici tra le schiere dei meridionalisti: che ne direste se per il Regno delle Due Sicilie fosse avvenuta la stessa mutazione che ha subito Berlusconi? E se noi stessimo dando fede ad una storia parallela ma messa in giro da gente non molto raccomandabile?

Alla fin fine, se proprio dobbiamo analizzare la vicenda con obiettività, la storia del Sud ricco e depredato e del Nord demoniaco e ladro sembra fatta apposta per coloro che non fanno altro che delegare ad altri le proprie responsabilità? Non sarebbe la cosa più bella del mondo pensare che non siamo responsabili di nulla ma siamo solo povere vittime? Non c'è cosa più rilassante e soddisfacente dal mio punto di vista.

Tutto questo l'ho voluto dire per dimostrare che la Storia non esiste, che esiste solo un "Geist", uno Spirito Guida degli Eventi che fa sì che in modo assolutamente casuale, gli eventi si ripetano sempre facendo credere alla generazione vivente di avere in mano la scoperta più assoluta.

E, inoltre, vi rinnovo l'invito a non prendere nulla per oro colato nulla di ciò che vedete o sentite. Non fidatevi mai di nessuno.


venerdì 5 agosto 2011

Risposta ad Ugo Piscopo del Corriere della Sera a proposito dell'articolo sul brigantaggio
















Venerdì 5 agosto 2011. Apro le pagine dedicate al Mezzogiorno del Corriere della Sera. Scorgo un articolo, firmato Ugo Piscopo, che attira subito la mia attenzione, chiamato "In piazza restano i briganti, ma così non vincono i nostri". L'articolo parla di un episodio avvenuto a marzo,a Napoli.

In Piazza Dante, un gruppo di ignoti ha scritto a caratteri cubitali, con vernice bianca, inserendo una lettera per ciascuna colonna del Convitto nazionale: "Viva il brigantaggio". Ciò ha suscitato lo sdegno del dottor Piscopo che ha definito l'accaduto: selvaggismo ideale di regressione a un passato che non si può e non si deve rimpiangere. Il dottor Piscopo ne ha per tutti: è una prova di barbarie la scritta; l'amore per i briganti appartiene all'invenzione narrativa, di figure da romanzo che cominciarono a divulgarsi già quando ancora il tragico fenomeno del brigantaggio sconvolgeva il Mezzogiorno" come il "brigante buono e della brigantessa affascinante, tutta genuinità, fuoco e fiamme.

Il dottor Piscopo afferma, inoltre, che l'deologizzazione del brigantaggio ha un suo profilo storico, che tra fine del secolo scorso e inizio del nuovo secolo ha avuto una vampata di accensione violenta, a cui danno consenso al Sud, in un mix vischioso di posizioni, neoborbonici, nostalgici, revisionisti, autonomisti, rivendicazionisti, e tanti tanti delusi della ex sinistra, sia storica, sia radicale, In questo ambito trova credito come storico quello che storico non è. Quale la distorsione pregiudiziale degli eventi. L'esercito italiano è adeguato a esercito piemontese, che viene ad occupare un regno altrui. La realtà meridionale è descritta come un'oasi di serenità e di benessere. I settentrionali sono adeguati a iene, che si nutrono del sangue dei meridionali, indifesi agnellini. Il brigante è il sano, roccioso, romantico difensore dei "nostri".

Il dottor Piscopo dice che questa storiaccia va respinta ai mittenti, non se ne può più. Dice che il brigantaggio inizia come fenomeno politico già nel 1799 con la Rivoluzione Sanfedista Napoletana.

Ovviamente io non sono d'accordo con niente di tutto ciò, anche se condanno fortemente la scelta di imbrattare il muro di una piazza così bella (anche se, in tutta sincerità, preferisco mille volte questa scritta anziché le insulse frasi pseudo-amorose che sporcano gran parte del centro storico)

Il discorso, però, è ancora più a monte: il dottor Piscopo ha "dimenticato" di dire che la scritta apparve in risposta alle celebrazioni dell'Unità d'Italia, e che era, quindi, un modo come un altro di esprimere il proprio dissenso, a prescindere da ciò che sia stato il brigantaggio nella storia e nella politica, ma solo come simbolo di disaccordo con i festeggiamenti.

Direi sia un metodo staliniano imporre le celebrazioni, di qualsiasi cosa si tratti, e la gente ha il pieno diritto di dissentire. Il dottor Piscopo ha sorvolato quest'aspetto, soffermandosi sulla prassi prettamente storica. Ma fosse andata bene almeno lì...

Il brigantaggio fu un movimento di protesta contro l'invasione garibaldina, ed ebbe un nucleo molto eterogeneo: contadini alle prese con un'altra inutile ribellione, ex soldati dell'esercito borbonico, disertori garibaldini, gente comune resasi conto delle atrocità piemontesi e (perchè no?) anche briganti nel vero senso del termine. Del resto quale gruppo di resistenza non ha accolto marmaglia? Anzi, in molti casi erano parte integrante,

vedi il battaglione cubano guidato da Chè Guevara, i partigiani italiani e gli angloamericani durante la Seconda Guerra Mondiale e tutte le altre forze uscite vincitrici nella storia e perciò viste come gruppi di anime pie, mentre l'esercito di Batista, i fascisti a difesa della Repubblica di Salò e i tedeschi sono visti come un gruppo di orchi. Se questi ultimi avessero vinto, ci sarebbe stato lo scenario opposto, perché la storia la scrivono i vincitori.

Questa è la grande Verità che Piscopo ignora. Ciò che lui chiama "antistoria" non è altro che il racconto della stessa vicenda ma da un altro punto di vista, dello sconfitto. Appare, quindi, fuori luogo la citazione alla fuga di Ferdinando IV a Palermo nel 1799. Il dottor Piscopo, inoltre, mostra gravi lacune storiche se crede ancora alla favoletta del Sud povero e agricolo e il Piemonte ricco, liberale e pacifico.

Non è anche questa " un' ideologizzazione" del piemontese portatore di civiltà? Secondo il ragionamento superficiale e nozionistico di Piscopo, l'amore per la "patria" unica e italiana dovrebbe essere l'anticamera del fascismo? La Storia che lui ama e che si insegna nelle aule, non è forse una distorsione pregiudiziale degli eventi che vede il Piemonte di Cavour come un'oasi di serenità e benessere e i meridionali adeguati a poveracci?

Oramai è tramontatala storiella che vede il Regno delle Due Sicilie come la negazione di Dio scesa in Terra (cit. Gladstone). E' noto ai più la grandezza dei Borboni e del Meridione. Piscopo dovrebbe informarsi e rendersi conto che esiste una via di mezzo tra la retorica fascista nazionalista (studiata nelle scuole) e la retorica antirisorgimentale revisionista (che, indubbiamente, c'è). L'episodio di Piazza Dante non era un riferimento ai Borboni, né un'apologia del brigantaggio in sé per sé, ma un segno di "nostalgia" (per usare un suo termine) giusta e necessaria verso un gruppo di uomini che resistevano al crollo di un'epoca florida la cui fine ha fatto iniziare tutti i problemi della città di Napoli (tralasciamo le campagne della Lucania e i monti della Calabria. Quello richiede un discorso a sé. Io parlo solo della città di Napoli).

Non so di dove sia Piscopo Ugo. Suppongo sia di Napoli o, quantomeno, campano. E il rifiuto di conoscere un'altra versione della storia (e non solo quella Made in Padania) della terra che avrà, probabilmente, dato i natali a lui e alla sua famiglia, è un'infamia, se possibile, ancora maggiore di imbrattare i monumenti delle piazze della meravigliosa Napoli.

Con questo io non voglio assolutamente sostenere il brigantaggio. Lo ripeto per l'ennesima volta. Io non sono un neoborbonico, che trovo, anzi, un'ideologia grottesca in quanto non si può essere nostalgici di un regno che nessuno ha mai vissuto, salvo clamorosi e innaturali casi di longevità.

Non si può conoscere una cosa che nessuno ha vissuto e la cui conoscenza è legata a fonti storiche alterate sia da una fazione che dall'altra. Io sono semplicemente un cittadino napoletano che non ha alcuna fiducia né nella storia né nella politica e che constata un crollo della città che non accenna a diminuire. I briganti furono gli ultimi resistenti di quell'antica civiltà partenopea e come tali vanno rispettati se non proprio onorati. Io non li onoro.

La maggior parte di loro proveniva dalle lande desolate del Tavoliere delle Puglie, dai monti della Lucania, dall'inospitale Calabria. Cosa ne potevano sapere della cultura e della filosofia che i piemontesi avevano distrutto? I briganti hanno subito un tradimento, l'ennesimo. Sono passati dalla padella borbonica alla brace piemontese. E, involontariamente forse, hanno finito per difendere Napoli.

Indecente il semplicismo di Piscopo nel definire l'unità d'Italia mal fatta e mal gestita come fosse un comprensibile errore. E' stato qualcosa in più: è stata una guerra di espansione, una colonizzazione. Ma noi napoletani non possiamo contare sui vari Masaniello, Ché Guevara, Malcom X o Nelson Mandela. Dobbiamo contare solo su noi stessi. Ed è proprio questo, forse, che mi fa più paura.

venerdì 18 febbraio 2011

150 anni di bugie. NON FESTEGGIARE!



Scrivo quest'articolo con un mese di anticipo. Volevo tenermi stretto stretto la mia filippica per il 17 marzo, 150° anniversario dell'unità d'Italia, tema davvero molto caro a me. Eppure non ci riesco, sono eccessivamente disgustato dagli spettacoli (vedi ieri Benigni a Sanremo) e dalle celebrazioni che si stanno preparando da mesi ormai.

Il 17 marzo 1861 fu dichiarata l'unità d'Italia con Vittorio Emanuele re. Il movimento risorgimentale in Italia iniziò con le famose Cinque Giornate di Milano (18-22 marzo 1848) dando vita alla Prima Guerra di Indipendenza contro gli austriaci. Il generale austriaco Radetsky fu rinchiuso nel Quadrilatero (Verona-Legnago-Peschiera-Mantova), contemporaneamente con Venezia insorgente. Sempre nel 1848, Daniele Manin dichiarò la nascita della Repubblica di San Marco (anche se Repubblica non era). Carlo Alberto, re del Regno di Sardegna, fu chiamato ad intervenire a Milano onde evitare la nascita di una repubblica. Andò per davvero a Milano per rafforzare la sua autorità, ma solo per dar vita ad una guerra di espansione del Piemonte: il suo progetto, infatti, era di strappare il Lombardo-Veneto all'Austria per via diplomatica essendo l'Austra una nazione molto più forte. Furono inviati molti volontari dallo Stato della Chiesa, dal Granducato di Toscana e da Napoli ma furono ritirati quasi tutti subito (il Regno delle Due Sicilie era alle prese con i moti indipendentisti della Sicilia, la Toscana con la Repubblica Fiorentina di Montanelli, Guarrazzi e Mazzani e lo Stato Pontificio con la Repubblica Romana di Mazzini, Saffi e Armellini e, comunque, il Papa ritornò sui propri passi perchè non poteva muovere guerra alla cattolicissima Austria). I piemontesi furono sconfitti a Custoza e il 9 agosto 1848 finì la prima fase della Guerra.Il 23 marzo 1849 riprese la Guerra sempre con Carlo Alberto, ma furono sconfitti di nuovo nella Battaglia di Novara. Lo stesso giorno, Carlo Alberto abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele.

In questo periodo ci fu un exploit di moti mazziniani come, ad esempio, il caso dei Martiri di Belfiore e degli sciagurati Fratelli Bandiera e Pisacane ma nessuno di loro andò a buon fine nonostante fossero anche meglio equipaggiati e accurati dei Mille di Garibaldi (fatto abbastanza strano). Nel Regno di Savoia si è vista l'ascesa alla carica di Presidente del Consiglio di Camillo Benso conte di Cavour la cui politica interna non rientra negli argomenti trattati da questo articolo. Basti sapere che iniziò come Ministro delle Finanze, poi come Ministro dell'Agricoltura, fece parte del Partito Liberal-Moderato e soppiantò il governo D'Azeglio con il famoso 'Connubbio' con Urbano Rattazzi. In politica estera ,invece, partecipò al fianco della Francia e dell'Inghilterra contro la Russia alla Guerra di Crimea. Fu criticato per la sua entrata in guerra a prima vista inutile ma con il secondo fine di ottenere il Lombardo-Veneto dall'Austria, che avrebbe aiutato senz'altro la Russia (ma poi si dichiarò a sorpresa neutrale e questa fu una delle ragioni che spiegano l'isolamento austriaco durante la Prima Guerra Mondiale), in un trattato di pace post-guerra. Nonostante avesse vinto la guerra, e non potendo avanzare pretese territoriali sull'Austria, riuscì a segnalare il problema dell'unificazione italiana dal punto di vista internazionale. Così, Cavour ottenne da Napoleone III, imperatore di Francia dopo il'48 parigino, la stipulazione del Trattato di Plombiérs (luglio 1858) che prevedeva quanto segue:
  1. La Francia sarebbe intervenuta in un'ipotetica guerra austro-piemontese solo se fosse stata l'Austria ad attaccare.
  2. Dalla conseguente vittoria, il Piemonte avrebbe ottenuto il Regno dell'Alta Italia
  3. La Francia avrebbe ottenuto i regni dell'Italia Centrale con a capo il cugino Girolamo Bonaparte più Nizza e la Savoia.
  4. Lo Stato Pontificio sarebbe stato smembrato e il Papa sarebbe stato messo a capo di una confederazione sul modello tedesco
  5. Il Regno delle Due Sicilie non sarebbe stato toccato, ma si sarebbe tentato di mettere sul trono dei Borbone un discendente di Gioacchino Murat, già re di Napoli nel periodo napoleonico.
Come si può notare, a Cavour non importava un fico secco dell'unificazione e della libertà italiana, ma solo di ottenere quante più terre possibili per il suo Piemonte.

Restava, quindi, solo da provocare l'Austria al fine di essere attaccati e di ricevere l'aiuto di Napoleone III. Quindi, Cavour militarizzò molto il Piemonte con squadroni per ogni dove. L'Austria, che non era al corrente del Trattato di Plombiérs, lanciò un ultimatum al Piemonte intimando di smilitarizzare i suoi confini. Cavour, ovviamente, rifiutò, l'Austria attaccò il Piemonte, Napoleone III partì il giorno stesso e si ebbe la Seconda Guerra di Indipendenza (26 aprile 1859). Da ricordare le battaglie di San Fermo, Varese, Solferino e San Martino. Ma successe un imprevisto: tra maggio e giugno 1859, i sovrani dei Ducati di Modena, Parma e il Granduca Leopoldo di Toscana scapparono. A Bologna e a Modena si formarono governi provvisori chiedendo l'annessione al Piemonte. Napoleone, quindi, non avrebbe più potuto ottenere le terre dell'Italia Centrale come previsto dall'accordo di Plombiérs e, inoltre, subì gravissime perdite soprattutto a Solferino (quasi 20.000 uomini). Così, Napoleone, Vittorio Emanuele e gli austriaci, firmarono l'Armistizio di Villafranca (8 luglio 1859) all'insaputa di Cavour. L'Armistizio prevedeva che la Lombardia fosse francese (che poi sarebbe stata girata al Piemonte) e un ritorno almeno dei sovrani precedenti nell'Italia Centrale. Ciò non avvenne. I governi provvisori di Modena, Parma, Firenze e Bologna formarono una forza comune. Nel marzo 1860, quindi, si fece ricorso ai Plebisciti che sancirono l'annessione al Regno di Savoia di Modena, Parma dell' Emilia Romagna e della Toscana.

Dopo la Seconda Guerra di Indipendenza (che fu considerata un fallimento nonostante la conquista della Lombardia e dell'Italia Centrale) mancavano ancora la Valle d'Aosta, il Trentino, il Veneto, lo Stato della Chiesa e il Regno delle Due Sicilie.Per conquistare il Sud Italia, Cavour finanziò la campagna di Garibaldi che partì dal porto di Quarto (GE) con i suoi famosi Mille uomini. Fu appoggiato dall'Inghilterra ovviamente. L'11 maggio 1860, Garibaldi sbarcò a Marsala in un Regno delle Due Sicilie in crisi per le rivolte a Palermo di Francresco Riso e di Rosalino Pilo. I garibaldini sconfissero i Borboni a Calatafimi e Milazzo, conquistarono l'isola e dichiararono la propria dittatura per non far pensare a Cavour che fosse un repubblicano mazziniano (20 giugno 1860). Garibaldi e Vittorio Emanuele allora fecero un attacco combinato: Garibaldi continuava la sua spedizione da sud a nord conquistando prima la Calabria (20 agosto 1860) ed entrando a Napoli il 7 settembre 1860 (a bordo di un treno per beffare la capitale partenopea che aveva la prima ferrovia Napoli-Portici e la prima locomotiva a vapore dal lontano 1839 mentre loro a stento sapevano cos'era il carbone), Vittorio Emanuele da nord a sud strappando l'Umbria e le Marche allo Stato della Chiesa con la battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860) per poi incontrarsi a Teano (CE) dove Garibaldi dava a Vittorio Emanuele tutto il Regno delle Due Sicilie che da allora in poi vide una crisi che dura ancora oggi. Torniamo, così, all'inizio dell'articolo. Dopo le annessioni plebiscitarie delle popolazioni meridionali, umbre e marchigiane, il 17 marzo 1861, si proclamò il primo Parlamento del Regno d'Italia con Torino capitale, lo Statuto Albertino come Costituzione e Vittorio Emanuele re.

Come si può facilmente notare anche senza un eccessivo spirito critico, la festa del 17 marzo è del tutto effimera. A quell'epoca, mancavano ancora il Veneto, il Trentino, la Valle d'Aosta e lo Stato Pontificio all'appello. Il Veneto fu annesso all'Italia dopo la Terza Guerra di Indipendenza (1866), lo Stato Pontificio crollò definitivamente con la famosa Breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870 e il Trentino e la Valle d'Aosta furono italiane solo nel 1919 alla fine della Prima Guerra Mondiale e con lo scioglimento dell'Impero austro-ungarico. Ai fini della mia contestazione alla celebrazione del 17 marzo come festa nazionale non è importante conoscere le condizioni e le cause nel dettaglio che completarono il puzzle italiano.

Ritengo sia opportuno rivedere tutte le tappe della storia dell'unificazione italiana anche se potete star certi che circa i 3/4 di coloro che festeggiano come scimmiette cieche,mute e sorde la Guerra di Espansione Piemontese non sanno quasi nulla di tutto ciò, vedono Garibaldi come un eroe rivoluzionario, Mazzini come un martire del libero pensiero e Cavour un paladino della giustizia e della libertà. Come si può ben vedere dalle voci della storiografia ufficiale che vi ho esposto poc'anzi, questa unificazione altro non fu che l'espansione, la colonizzazione da parte del Regno di Savoia. Il bersaglio di tutta questa ferocissima campagna è stato soprattutto il Sud. Fino all'unificazione, il Sud era la potenza più grande in Europa dopo l'Inghilterra, erano ricchi, all'avangurdia, meta di intellettuali e filosofi. Hanno scritto la storia in modo che la politica dei Borbone fosse fatta apparire arretrata, con una pesante e spossante burocrazia. Niente di tutto questo. Re Ferdinando IV era un liberale che si metteva in tasca Cavour o Ricasoli, che fece vivere Napoli al massimo del suo splendore. Il Regno delle Due Sicilie era il più ricco e il più avanzato Stato pre-unitario nonchè il più popolato. Aveva la terza flotta mercantile al mondo e questo provocò un'occupazione operaia senza precedenti, con lavoratori provenienti dal Piemonte, dal Lazio, dalla Toscana e dalla Liguria. Napoli fu la prima città italiana per numero di tipografie (113), per pubblicazione di giornali, riviste, conservatori musicali e teatri nonchè il primo Stato ad attuare l'istruzione obbligatoria (alla faccia delle stime che danno l'analfabetismo con una media dell'85% al Sud con punte di 90% in Sicilia). Inoltre, i giovani potevano sposarsi senza chiedere il permesso ai propri genitori e le donne non erano costrette a portare la dote. Napoli ebbe il primo osservatorio astronomico, ebbe il primo telegrafo italiano, la prima città con illuminazione a gas in Italia (terza in Europa dopo Londra e Parigi) nonchè la prima nave a vapore in Italia e il primo transatlantico al mondo che collegava Palermo a New York. Questo è il poco che mi viene a mente, per approfondire, andate qui, qui, qui e qui .

L'unità d'Italia è una maschera di infamia, retorica, insignificanti idee di libertà ed uguaglianza. Altro non è stata che una colonizzazione. Sì, il Sud è solo una colonia del Nord. "Loro" erano i civilizzatori e "noi" gli ignoranti da conquistare. Il Sud è un Commonwealth, un aggregato Non appena si è conquistato il Sud subito si è provveduto a depredarlo e ad un uccidere, si è aperto subito il campo di concentramento di Fenestrelle dove morirono più meridionali lì che in tutt'Italia durante la guerra civile del '45. Da allora iniziò il vuoto economico, politico e morale che ancora oggi si vive. Il Sud è stato privato della propria storia, delle proprie tradizioni e della propria cultura. Hanno gettato via la memoria meridionale. Si è voluto creare l'immagine delllo schiavo che non è davvero schiavo, è libero e la sua condizione non è mai stata migliore di questa. Questo è il messaggio che viene lanciato da queste campagne pro-unità. Nonostante mancassero diversi importanti terreni, ad esempio, si è proclamato il Regno d'Italia proprio dopo la conquista del Sud per cominciare ad estirpare dalle menti meridionali qualsiasi tipo di indipendenza, di autonomia o di intellettualità. La loro mente è stata straziata inculcando loro la convinzione di essere davvero inferiori, le loro città distrutte, i loro abitanti deportati e le loro donne stuprate. Ma non ci sono ricordi di tutto questo. C'è, anzi, la beffa di festeggiare il loro eccidio. Il Regno d'Italia è una truffa ed una colonia. Quando una nazione non unisce vuol dire che ha fallito. Pertanto va distrutta.

Ma, direte voi, come è possibile non essersi ripresi dopo 150 anni? Se avevano davvero la flotta più potente d'Europa, come mai hanno ceduto a Mille umini disarmati e incapaci di combattere? La verità è che i Mille di Garibaldi non hannno dovuto far altro che avanzare. Lo scontro non ci fu affatto. I Borbone avrebbero potuto schiacciare quella misera Armata Brancaleone come una mosca. Non avvenne. Napoli, la capitale degli intellettuali, non aveva potuto fare a meno di richiamare noti esponenti della massoneria i quali non attaccarono i loro confratelli (come avvenne nella Guerra di Indipendenza Americana). Gli scontri furono assolutamente ridicoli. La massoneria napoletana, però, era contraria al governo dei Borbone così hanno voluto distruggerlo definitivamente anzichè organizzare un plebiscito fasullo ma pacifico come in Emilia Romagna, in Toscana, in Umbria e nelle Marche. I Borbone furono uccisi e sconfitti con brutalità il 1° ottobre 1860 nella Battaglia del Volturno dai garibaldini (di cui non uno era italiano. Tutti africani, svizzeri o tedeschi) e dalla massoneria inglese che, ovviamente, aveva tutto l'interesse di conquistare una terra tanto importante per i commerci sul Mediterraneo.

In conclusione, l'unità d'Italia si basa sul tradimento, sull'alterazione delle menti e dei documenti, sui complotti e sulla sottomissione. Si basa sullo sfruttamento, sulla violenza, sulla cattiveria. Io di certo non mi sento italiano, non voglio essere figlio di questa relatà e senz'altro boicotterò qualsiasi festeggiamento. Io non festeggio 150 anni di sottomissione e tu?