mercoledì 29 febbraio 2012

Ero convinto di essere meridionale anche io, ma, leggendo "Giù al Sud" di Pino Aprile, ora ho qualche dubbio

Sapevate che gli aiuti dati al governo giolittiano alla popolazione messinese, all'indomani del terribile maremoto del 1908, consistettero in furti, fucilazioni e razzie dei soldati a danni degli alluvionati? Sapevate che il sistema bancario napoletano era ritenuto uno dei meglio affinati del mondo e che, tra il 1831 e il 1859, promosse più attività produttive che la Banca Nazionale nei 30 anni successivi all'Unità? Sapevate che la povera e affamata Calabria possedeva l'industria siderurgica migliore del mondo?

Per chi ha già letto autori come De Viti De Marco, Gaetano Salvemini e Nicola Zitara, sicuramente non saranno novità. Per tutta un'emergente generazione di meridionalisti, sempre più numerosa, paragonabile, come dice Aprile con molta lungimiranza a mio avviso, alla generazione della Beat Generation degli anni '60, lo sarà eccome. E, per sapere queste e centinaia di altre novità, questo dev'essere per loro un libro imperdibile, da prendere quasi come un vangelo, perché dice solo verità. E il paragone fatto da Aprile è davvero sorprendente, perché facilmente constatabile. Non risulta difficile trovare punti in comune tra questo nuovo (e inedito) movimento di giovani meridionali, che hanno come totem gente come Gigi Di Fiore e, appunto, Pino Aprile, ascoltando le musiche popolari ed etnologiche di Eugenio Bennato e quelle di Mimmo Cavallo, e quel movimento che diede vita al famoso '68, che ascoltava il dio della musica, Jimi Hendrix, e i mitici Rolling Stones, che aveva come vangelo i libri di Keruac e Ché Guevara, con la differenza, riportata dallo stesso Aprile, che questa nuova generazione è più concreta, più innovativa e meno ingenua. Ma entrambe rappresentano uno scossone al vecchio sistema: la generazione sessantottina era una protesta all'educazione cattolica e illiberale del tempo, una controcultura a quella ufficiale, ancora fascista e reazionaria, un ribellismo allo status quo delle caste padronali e alla società patriarcale e bigotta; la generazione meridionalista è uno scossone alla condizione di subalternità in cui il Sud Italia si vede immerso, una controstoria alle versioni ufficiali, corrotte da una retorica savoiarda prima e fascista poi, e mai più risollevatasi, che vedono il Sud come atavicamente arretrato e incivile, un ribellismo alla casta di politici (indistintamente di destra e di sinistra, che sono divisioni anacronistiche) che insulta, infanga e calpesta il Sud e sostiene la menzogna che, nonostante i loro immani, tempestivi e gratuiti sacrifici, il Sud sia troppo pigro o troppo rovinato per risollevarsi e che, ingenerosamente e senza pudore, osa chiedere di più e criticare ciò che già hanno loro immeritatamente e lautamente retribuito.


Pino Aprile ha avuto il merito di dare voce a questa generazione e, col fortunato best seller "Terroni", ha posto problemi noti solo a pochi e ha dato vita alla più svariata letteratura, ironia della sorte, proprio in occasione dei 150 anni dell'Unità italiana. Il libro si compone di una serie di racconti sparsi, di episodi a cui lui ha assistito nel corso dei suoi viaggi al Sud, di racconti di giovani meridionali laureati con lode e costretti ad emigrare al Nord (circa un miliardo di euro in risorse che il Nord guadagna a spese del Sud), di paesi svuotati dalla disoccupazione e dalle razzie nordiste in 150 anni. E le cose che dice sono tutte vere e, alcune, sono raccapriccianti. Ciò che il Sud ha subito (e subisce) sarebbe da denunciare alla Commissione per la Tutela dei Diritti dell'Uomo che, tra l'altro, ha già condannato per ben due volte l'Italia per la questione dei rifiuti di Napoli e per i maltrattamenti subiti dagli immigrati di Lampedusa (mentre, come Aprile stesso ricorda, la Germania, negli anni '90, accolse senza alcuna difficoltà 100 mila immigrati dai Balcani sconvolti dalla Guerra del Kosovo,e ,all'epoca, la Germania si era appena riunita). Neanche la Cina o l'Iran!

Lo sapevate che la Gelmini ha eliminato gli autori meridionali come Gatto, Scotellaro, Sciascia e Silone dai programmi "sufficienti per un'adeguata preparazione"? Lo sapevate che il Governo Berlusconi IV girò i fondi destinati alla ristrutturazione delle università del Sud all'Accademia delle Armi di Brescia e alla rottamazione delle automobili del Nord? Lo sapevate che l'industria settentrionale stava andando in fallimento dopo la Prima Guerra Mondiale e lo Stato italiano la aiutò pesantemente con i soldi di tutti, mentre l'eccellente industria borbonica fu depredata e abbandonata senza pietà? Per coloro non erano al corrente delle ruberie del Nord durante il Novecento, questo libro farà loro sgranare gli occhi per l'indignazione, farà loro schiumare di rabbia per ingiustizie passate sotto silenzio e, anzi, addossate alla vittima stessa.

Sono, però, costretto ad aprire una lunga parentesi critica nei confronti delle sue scelte. E, nella remota ipotesi che Aprile legga queste mie parole, vorrei chiedergli: non le pare di aver creato un "Nord del Sud" e un "Sud del Sud"? Non crede che abbia trascurato molti fattori imprescindibili per qualunque libro che si ponesse a "vessillo della nuova fierezza meridionale"? Pino Aprile si è concentrato, quasi esclusivamente, su Calabria e Puglia, con continui richiami alle risorse sfruttate abusivamente dal Nord alla Sicilia e alla Basilicata. La Campania, invece, la Regione che ha ospitato la capitale del Sud dal 1130 all'Unità, è solo vagamente citata nei discorsi più remoti e retorici (e, in quanto a retorica, alcune parti del libro non scherzano) di cui il libro abbonda. Il Molise? Questo sconosciuto! L'Abruzzo, Regione meridionale a tutti gli effetti, al contrario della Sardegna citata in continuazione? Non esiste. E le Province storicamente meridionali come Latina e Rieti, dimenticate dal Sud perché non più meridionali , rifiutate dal Nord perché mai del tutto nordiste e che ora fungono da "Striscia di Gaza" nella vera e propria guerra civile che il Paese attraversa? Eppure queste Province hanno ospitato le fortezze che hanno resistito più all'invasione piemontese, come Civitella del Tronto e Gaeta.

E le grandi città meridionali la cui economica è stata distrutta dai Savoia come, appunto, Napoli, Palermo, Bari o Reggio Calabria? Mai citate, neppure per sbaglio. Al libro dev'essere riconosciuto il merito di aver dato voce a tanti paesini calabresi e pugliesi che non esistono per i media, dimenticati anche da loro stessi, distrutti dalla perenne recessione meridionale. Eppure non si può capire a fondo la Questione Meridionale, lo stato in cui il Sud è stato gettato dopo essere stato spolpato, se non si guarda alle sue città capitali. Le due storiche capitali, del Regno delle Due Sicilie e, in precedenza, del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia, Napoli e Palermo non sono mai state menzionate, non ha messo in risalto il loro stato d'abbandono e dei loro deboli segnali di ripresa (mi sarebbe piaciuto almeno un capitolo dedicato al confronto tra Napoli, Palermo e Bari con ex capitali decadute come Saigon, Bonn e Caracass). Soprattutto la città partenopea, città in cui i lati positivi e negativi del Sud vengono elevati al quadrato. E proprio Napoli è parsa bistrattata.

Già dalla parte in cui Aprile era a Sbig (paesino ufficialmente in Provincia di Benevento, ma praticamente in una terra di nessuno tra Puglia, Campania e Molise) si legge:"Dove si butta la monnezza degli altri? Al Sud. Quella del Sud? Più a Sud: a Sbig. E ti pare che ci facevamo mancare la discarica? Il miracolo temporaneo di Napoli ripulita eccolo là": appena sotto il paese, giusto addosso alla pigra valletta del riscello; è uno dei posti lontano dagli occhi e dalle telecamere in cui furono sversati i rifiuti partenopei. E' la proprietà distributiva della monnezza: quella tossica del Nord finisce al Sud, specie in terra camorrae; e da lì democraticamente divisa, un po' a ciascuno, ai paesini dell'interno, per i quali nessuno strillerà ai telegionarli".

Cosa ha voluto dire? Che forse Napoli ha tratto qualche giovamento dalla martellante campagna diffamatoria per un'emergenza rifiuti (finita da più di un anno, senza che Aprile lo dica neanche una volta) voluta dalle lobby governative in combutta con la camorra? Crede che sia stato un vantaggio che "si strilli ai telegiornali"? Crede che questa macchina del fango abbia reso Napoli più importante? Se proprio si vuole andare a trovare delle disparità all'interno del Sud, avrebbe dovuto parlare delle croniche emergenze rifiuti di Palermo, di Potenza, di Reggio Calabria, di Foggia ignorate dai media (e sono contento che non ne abbia parlato nessuno per non danneggiare ulteriormente l'immagine del Sud, sia ben chiaro).

Sempre in tema di spazzatura, la Campania esce con le ossa rotte da questo libro. Non è stato detto nulla (non una riga) per sfatare questi luoghi comuni, di cui tutta la Campania ne ha sofferto. Non è stato detto nulla su Salerno, città sorprendente, che ha strabiliato l'Europa per la sua pulizia, la cui civiltà è diventata proverbiale anche al Nord; non è stato detto nulla sulla Provincia di Caserta, descritta come una giungla in cui vige solo la camorra, in cui solo 7 Comuni hanno una percentuale di differenziata inferiore al 30%; non è stato detto nulla sulle percentuali di differenziata dei Comuni dell'Area Vesuviana, di cui pochi al di sotto del 40%; non è stato detto nulla sui quartieri di Napoli in cui è stata estesa la raccolta differenziata porta a porta e 7 di loro raggiungono quote superiori al 95%; non ha parlato di Scampia, area degradata e diffamata che non necessita di presentazioni, la cui differenziata è al 70%; avrei voluto qualche riga spesa sulle rivolte di Terzigno per difendere il Parco Nazionale del Vesuvio dall'ennesima discarica, sul duopesismo delle proteste di Chiaiano e della No-Tav, così come pure il razzismo, la cattiveria verso il Sud amplificati verso Napoli, al quale ha dedicato la miseria di 3 pagine, forse le più brutte del libro; non ha detto nulla sugli scavi di Pompei che si sgretolano nell'indifferenza generale, scevri di fondi scippati dal Nord; non ha detto nulla sugli scempi dell'amianto a Bagnoli; mi sarebbe piaciuto anche un capitolo dedicato all'anomalo attaccamento della città alla propria squadra di calcio, che non è, come ad una prima analisi può apparire, semplice superficialità.

Per la città è l'unica cosa di cui andarne orgogliosi, l'unica cosa alla quale non hanno denigrato il passato per rubarle il futuro, l'unica cosa rispettata, l'unico punto di riferimento, perché sentito come proprietà comune e non "di altri"; avrei voluto un viaggio intorno a quelle persone che lavorano per i circoli culturali e devono convivere con il pregiudizio di molti; avrei voluto un viaggio negli stabilimenti di Pomigliano D'Arco, Melfi e Termini Imerese in cui gli operai vengono trattati come bestie; avrei voluto dei capitoli sulle famose industrie napoletane del periodo borbonico e il confronto con lo squallore attuale; avrei voluto capitoli che aiutassero l'ex capitale meridionale ad avere fiducia in se stessa, a riscoprire il suo passato, a constatare che la sua storia e la sua cultura non è inferiore a nessuno e,anzi, superiore a quella di alcuni, a far capire ai suoi abitanti che anche per loro, forse c'è un futuro. Invece, Pino Aprile ha selezionato una sola parte del Sud che viene costantemente ignorata per un processo orwelliano di "evaporazione". Non parlarne, così smettono di esistere, verranno distrutte. Ed è giusto che queste Regioni, patria della cultura e civiltà europea, sfruttate oltre l'inverosimile, riacquistino la propria dignità e il proprio orgoglio, ma allora si dovrebbe cambiare il titolo in:"Giù in Calabria e in Puglia" e non "Giù al Sud", perché, se queste Regioni sono parti integranti del Sud, trovo sia sbagliato, ed anche ingiusto, identificare tutto il Sud, interamente in loro.

Altro punto che mi lascia molto perplesso è quello riguardante gli indipendentismi delle Regioni. L'indipendentismo in questione è quello siciliano. Aprile fa una storia a dir poco perfetta di come i siciliani acquistarono il loro Statuto speciale e dei loro movimenti di indipendenza dai Borbone. Io sono del parere che un vero meridionalista non può appoggiare movimenti che tendono a scindere il Sud, se non come folklore. Sostengo la diversità di cultura e di storia delle Regioni meridionali, ma il Sud unito è un valore imprescindibile. E, a proposito di indipendentismo, è stato ignorato quello beneventano e della fantomatica Regione del Molisannio. Condannabili entrambi, ma il secondo ignorato i il primo no.

Ci sono diverse chiavi di lettura per questa scelta, quantomeno discutibile, di Pino Aprile di escludere totalmente la Campania dal suo libro (non la menziona nemmeno nell'elenco degli svantaggi che le Regioni del Sud potrebbero avere in un federalismo in salsa leghista). Forse non voleva ripetere l'errore, comune, banale e irritante di identificare tutto il Sud con Napoli? Ma allora perché ha ignorato tutte le altre grandi città del Sud? Forse ritiene Napoli e la Campania troppo degradati e degradanti per poterle menzionare in un libro atto a costituire un riscatto del Sud? Non sarebbe da lui. Forse ha voluto, con questo libro, difendere il resto del Sud dall'immagine negativa che la Campania e Napoli hanno regalato in questi ultimi anni? Usando malizia e dietrologia e non conoscendo Pino Aprile, potrebbe darsi. Sta di fatto che è stato un errore troppo grosso aver trascurato una fetta del Sud così importante che contribuisce alla poca crescita che c'è al Sud, che contribuisce all'immagine del meridionale all'estero e in Italia, una fetta che attendeva il riscatto, ferita, che ha avuto una delusione da parte di un amico.

Non può esistere un progetto plausibile di meridionalismo senza Napoli e la Campania e, finché essi verranno ignorati, la sua opera non può dirsi completa, anzi, quasi offensiva dato che dà l'impressione di non considerarle Sud. Aprile scrive un libro quasi perfetto ma cade su tali banalità. Ignora le richieste d'aiuto di una Regione-chiave per il Sud che di aiuto ne necessita eccome. "Giù al Sud", per concludere, è un libro stupendo e deludente al contempo.

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