giovedì 5 aprile 2012

Riflessioni sul rapporto Stato-Camorra

Prima di parlare di Camorra, dobbiamo necessariamente disporre almeno di una definizione oggettiva sul quale basarci. Secondo lo "Zingarelli", la Camorra è un' "associazione della malavita napoletana, nata sotto gli spagnoli e affermatasi nell'Ottocento, molto potente e organizzata secondo rigorose leggi gerarchiche". Scopo di quest'articolo non sarà di ripercorrere la storia di quest'organizzazione, talvolta oscura e ingarbugliata, perciò il sottoscritto ignorerà la discutibile sintesi sull'origine della Camorra data dal dizionario, figlia di una cultura obsoleta, contorta e contaminata (basta solo riportare che la parola ha origini sconosciute, risalenti, circa, al 1861. Ma tu guarda che caso...). Vorrei soffermarmi più sull'influenza che ha questo fenomeno nelle nostre vite, sulla diffusione e la reale potenza di quest'organizzazione e come fare per eliminarla.

Oso sperare che nessuno dei miei eventuali lettori crederà alla frottola, incoraggiata sia dall'anomala destra a trazione leghista che dalla sinistra radicata nelle frazione tosco-emiliana, che la Camorra non ha trovato spazio nell'onesta e pulita finanza del Nord, che nessun camorrista abbia avuto l'ardire di varcare le "Colonne d'Ercole" del Tevere, intimorito da una frazione d'Italia efficiente e incorruttibile e che quei pochi delinquenti presenti nelle periferie di Torino e di Milano siano tosto soffocati da un senso di onestà collettiva, tanto abbondante al Nord e tanto scarseggiante al Sud. Il superamento di questa barriera architettonica, costruita sulla sabbia bagnata, è già a metà strada dalla risoluzione del problema. Badate bene, intendo superata per davvero, dal punto di vista mentale, il che non vuol dire blaterare prediche di mal comune, citando confusamente Saviano e Borsellino, per fare i radical-chic "libertari e ugualitari di sinistra", per poi, appena si sente una notizia, riciclata tra l'altro, di un arresto a Palermo o Reggio Calabria, pensare tra sé:"Ma tu guarda, i soliti terun..."

E' innegabile, però, che i quartieri più degradati e rovinati si trovano nelle periferie delle metropoli meridionali. Ad una prima analisi superficiale, si potrebbe concludere che la Camorra esista sono a Palermo, a Catania,a Napoli, a Bari, a Cosenza. E' una visione condivisa dalla stragrande maggioranza dell'opinione pubblica e politica, quasi quasi anche nelle stesse città citate. I napoletani, ad esempio, sono davvero convinti di abitare in una sottospecie di "decimo cerchio" dell'Inferno, il cui ingresso si trova occultato nella "selva oscura" delle Vele di Scampia, e poco importa, ad esempio, se l'Accademia di Filosofia degli USA ha constatato che i bambini di quel luogo compongono i migliori ragionamenti epistemologici d'Italia o che la raccolta differenziata è superiore al 70%, proprio lì, nella conca di Lucifero, nell'Inferno dell'Inferno, ove colui che entra deve lasciare ogni speranza di uscirne nelle stesse condizioni con le quali è entrato. Nonostante questo, rimarranno sempre feccia agli occhi di tutti; i palermitani sono davvero convinti di abitare in un universo verghiano in cui la loro triste realtà, derivata da cause millenarie, innata, immutabile ed eterna, e qualsiasi tentativo di cambiare porterà solo un peggioramento delle cose. E loro sono davvero convinti che la loro "Casa del Nespolo" sia situata in qualche vicoletto ombroso e terribile dello Zen, e poco importa se Palermo è una delle città con più scontrini rilasciati d'Italia. Nonostante questo, rimarranno sempre feccia agli occhi di tutti.


Ho portato alla luce questi due esempi per illustrare il senso di inferiorità in cui vigono le popolazioni meridionali. Ed è molto importante per spiegare gli stereotipi alterati delle città del Sud e confrontarli con quelle del Nord, la cui immagine è spesso anche gonfiata rispetto alla realtà, in meglio s'intende. E, oltre al danno, la beffa: come si possono difendere luoghi disprezzati, all'apparenza, anche dai loro abitanti stessi? Ho voluto dilungarmi su un tema estraneo, apparentemente, alla vicenda. Ho scritto queste righe per cercare di spiegare che quartieri come Scampia e lo Zen, associati comunemente ad una diffusione camorristica pari al 99,9%, siano, in realtà, un fallimento dello Stato. I residenti di simili quartieri, invisibili per lo Stato, nemici giurati delle istituzioni, hanno passato (e passano) decenni, forse secoli, a vedersi rinfacciare le cause di un simile abbandono, fatto passare per giusto: chi vorrebbe perdere tempo con dei rifiuti umani come loro? E chi non ne può più di vivere in tali condizioni, stanchi delle continue mortificazioni, si trovano di fronte a una scelta: emigrare con l'indelebile etichetta di meridionali o abbracciare le forti e sicure spalle della Camorra.

Così come dopo una delusione amorosa è più probabile avere una relazione pericolosa, col primo che capita, i cittadini distrutti dal pregiudizio storico, rifiutati dallo Stato così come un padre rifiuta un figlio quando questi è nato da uno stupro, sono segnati dalla brutale crudezza delle loro vite e, per non soccombere, sono costrette a gettarsi tra le braccia del loro, apparente, salvatore. Sì, perché la Camorra è una sicurezza, una salvezza. La Camorra non è altro che uno Stato alternativo e, per certi versi, anche più efficiente: garantisce un futuro a dei ragazzi (capita a fagiolo la notizia del boss Setola che assumeva i laureandi), garantisce una protezione economica se si rispettano determinate regole, garantisce anche dei servizi migliori e addirittura un piano pensionistico (cosa che lo Stato ha praticamente eliminato); la Camorra è uno Stato più materialista e meno sofisticato: se fai uno "sgarro" alla Camorra finisci decapitato (se tutto va bene), se lo fai allo Stato ti ritrovi senza lavoro, con una vita distrutta, o in un carcere-lager; i boss di Camorra non sono eletti da nessuno e vige la legge del più forte, come nei branchi di animali quando muore il capo. I Capi di Stato sono,nella teoria, eletti dal popolo (questa fantomatica figura), ma, nella pratica, comanda sempre la solita Casta; entrambi hanno gerarchie da rispettare, segreti da mantenere, agiscono nell'ombra. Non si contano più gli abusi da parte di entrambi: blitz nei negozi, pizzi e tasse, Equitalia e strozzini, carabinieri e clan (tutt'e due fortissimi con i deboli e debolissimi con i forti), l'uno con sigarette, alcol e gioco d'azzardo, l'altro con la droga hanno distrutto migliaia di vite e di famiglie, e la lista sarebbe ancora molto lunga. La Camorra e lo Stato cono due facce identiche della stessa medaglia che siamo costretti a portare al collo.

Ci sono moltissime persone, più di quanto pensiate, che si ribella, che denunciano, che si costituiscono, pentiti, da ex camorristi. E costoro vengono protetti con programmi a dir poco inadeguati. Nemmeno i giornali, ormai, si danno più la pena di riportare la notizia. Il sacrificio di costoro, quindi, rimarrà fine a se stesso. E varrebbe la pena rovinarsi l'esistenza, mettendo a serio repentaglio la vita propria e dei propri cari, per un'organizzazione altrettanto criminale che non ti vuole, ti è ostile, ti discrimina e, quando giuri fedeltà, ti abbandona per l'ennesima volta? Rispondete con sincerità, almeno nei vostri cuori. Mi piacerebbe sapere cosa risponderebbero quei saccenti (gran parte del Nord) che rimprovera le popolazioni di non sapersi ribellare o che esortano i meridionali al cambiamento (come se da loro la Camorra non ci fosse) e dichiara, urlando sconclusionatamente, guerra alle mafie. Quella gente non ha capito nulla e le loro labbra si muovono di gran lunga più velocemente del loro minuscolo cervello. Vorrei vedere questi pseudo-comunisti, questi sputasentenze, questi leghisti affiliati alla 'ndrangheta, questi razzisti, questi rivoluzionari da iPhone e iPad, questi guerriglieri con i pannolini cosa farebbero in tali condizioni. Sono certo che venderebbero persino la propria madre, e le loro parole andrebbero in frantumi come una bottiglia vuota.

Non c'è da stupirsi, quindi, se la presenza di affiliati alla camorra al Sud in generale e, in particolare, in simili luoghi, non accennano a diminuire. Le manifestazioni di studenti, di volontari, di circoli culturali che rifiutano la Camorra sono all'ordine del giorno a Palermo e a Reggio Calabria. Quasi nessun giornale ha dato spazio a movimento anti-'ndrangheta calabresi come "Io sono Fabrizio" e "Adesso ammazzateci tutti"; le minacce di morte al magistrato barese, al blogger siciliano e al giornalista napoletano sono frequentissime e sempre ignorate da uno Stato che non ha alcun interesse a salvaguardare una fetta di popolazione così volenterosa, così generosa e coraggiosa, anche a costo di danneggiare se stesso. Pensate un po' cosa sarebbe l'Italia ora, quali fasti avrebbe raggiunto, se il Sud fosse trattato come parte integrante del Paese e non come una colonia, come il solito limone da spremere. Ma, per cause che trovano radici nella pigrizia, nella stupidità, nella cattiveria e nell'egoismo, si vuole mantenere costante lo status quo di una parte del Paese, si vuole andare avanti con l'inculcamento che al Sud la Camorra è diffusa per senso di pigrizia, di sfrontatezza, di disonestà, di repellenza alle regole e alla civiltà degli abitanti stessi. Si omettono, volutamente, le colpe dello Stato (con un vero e proprio atto camorristico) e si abbandona simili luoghi alla Camorra (vero e proprio atto statale).


Il mio discorso, ovviamente, descrive le condizioni di un ambiente che non sarebbe fuori posto in un racconto di Victor Hugo. Sono scenari di miseria (che è cosa ben diversa dalla povertà) nella quale il Sud è stato gettato e mai voluto aiutare. Simili denunce, purtroppo, risultano, agli occhi dell'opinione comune, sovversive, portatrici di una teoria nuova, ignota, inaspettata, che non sono sicuri di poter accettare facilmente. In simili scenari, la Camorra spadroneggia indisturbata con responsabilità notevoli (e notevolmente nascoste) dello Stato. I cittadini, nella maggior parte dei casi, lottano, cercano di ribellarsi. Le manifestazioni sono grida d'aiuto sistematicamente ignorate e, quindi, nemmeno prese in considerazione dalla Camorra, a piena conoscenza della loro innocuità. In estrema sintesi: la miseria e la delinquenza, spesso, a livello sociale, coesistono; il povero dovrebbe essere aiutato, invece lo Stato lo incolpa, attribuisce questa miseria ai miseri stessi: lo sua tesi è "la colpa è loro che, per pura disobbedienza, diventano camorristi, è colpa loro se sono così poveri, nonostante si sia fatto di tutto per aiutarli".

Ovviamente, non è solo questo lo scenario tipico camorrista. Ci sono anche camorristi che aderiscono per senso di impotenza, di avidità, di pura disonestà: un imprenditore che ha bisogno di aiuto per coprire i suoi affari sporchi, un politico che necessita di voti per salvaguardare la propria fedina penale non proprio immacolata (ogni riferimento è puramente casuale), il prepotente che ha bisogno di un "teatro" per inscenare le proprie frustrazioni. Costoro sono "semplici" delinquenti, degli esseri inferiori ed insignificanti la cui pena dev'essere esemplare. Hanno poco a che fare con la camorra in quanto solo un mezzo per propagare la propria disonestà, e se non ci fosse la Camorra, avrebbero usato un altro espediente. E questa è la Camorra che trova maggiormente spazio al Nord. Nelle città settentrionali accadono esattamente le stesse modalità di Napoli, di Palermo e di Taranto: pizzi, racket, far west e regolamenti di conti. Eppure non esiste una Scampia fiorentina o uno Zen torinese perché non esiste alcun motivo, né sociale, né storico, né politico per giustificare la massiccia presenza di Camorra al Nord. Sono tutto fuorché abbandonati. I camorristi del Nord, in combutta con lo Stato, non vengono discriminati da nessuno, sono al centro di qualsiasi progetto governativo, dalla distribuzione dei fondi alle riparazioni per malapolitica e corruzione.

Non sussiste la scusante dell'abbandono da parte dello Stato perché loro sono lo Stato, né dalle istituzioni, loro alleate. né dai media che si sperticano in lodi anche per la più piccola sciocchezza e che elevano al cubo i loro lati positivi. E poco importa se le più grandi truffe, rapine, estorsioni e scandali sono stati fatti dalle mafie del Nord, forti di capitali inesistenti al Sud: l'appellativo "mafioso" sarà sempre prerogativa meridionale. Nonostante a Napoli, ad esempio, si svolga una manifestazione anti-Camorra con la stessa frequenza con la quale si chiede il pizzo a Milano, sarà sempre quest'ultima ad essere "la capitale morale d'Italia", "la capitale della Finanza" e "la capitale della moda" e Napoli "la capitale della monnezza", "la capitale della mafia" e "la capitale del pizzo". E in questo consiste la differenza sociale tra Nord e Sud.


Per tale motivo non possono esistere aree degradate al Nord (grossomodo), ma, semmai, aree povere o periferiche, come esistono dappertutto. Si ha la conferma di tutto ciò all'estero. Le mafie più influenti si trovano, guarda caso, in Slovenia, in Romania, in Albania, in Cina, in Russia e in tanti altri Paesi, specie dell'Est Europa, provenienti da passati molto difficili. Anche lì vigono le stesse norme. Anche in tali Paesi il cittadino viene, sovente, abbandonato, anche lì l'emigrazione, per non dire esodo, della popolazione stronca l'economia nazionale, anche lì sono costretto ad avere una spalla forte sulla quale appoggiarsi. E, non a caso, queste nazioni non crescono, non producono (eccezion fatta per la Cina, la cui oppressione vero i cittadini è riconducibile alla dittatura che vive). Ci sono nazioni, invece, come la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, in testa a qualsiasi classifica di democrazia e ai piedi di qualsiasi stima del livello di corruzione, che sono il top mondiale. Lì la camorra non esiste? Certo che sì. La Camorra è un fenomeno globale e va dove ci sono grossi patrimoni da sfruttare come una mosca viene attratta dal miele . Ma lì, la Camorra è solo, appunto, una forma di delinquenza come tante altre. E la delinquenza esiste dall'Artide all'Antartide, dalla Florida al Giappone. In questi Paesi citati, lo Stato non abbandona il cittadino, lo aiuta, gli permette una vita tranquilla, lo tutela. Il cittadino svizzero, svedese o danese non ha bisogno di rifugiarsi nella malavita quando può godere di simili protezioni. Lo Stato italiano, invece, pretende, con grande esterofilia, le tasse dei Paesi all'avanguardia, ma è irriducibilmente nazionalista sulla qualità dei servizi offerti.

E, dopo tante parole, qual è la soluzione? La soluzione non è nella "guerra civile", né, tanto meno, ci si può limitare al solo arresto dei camorristi ("morto un boss, se ne fa un altro") né possono essere considerati passi avanti le numerose manifestazioni antimafia al Sud (la Camorra conosce la loro innocuità e lo Stato non tende loro una mano, come precedentemente detto). Anzi, si arriverebbe al paradosso di creare miti, di rendere martiri quelle persone che, comunque, avevano garantito una protezione, un lavoro, una pensione a centinaia di persone, e quella gente scesa in strada per impedire l'arresto di qualche boss (fatte passare come autentici atti di mostruosità, di deplorevole sottomissione, di bestiale "terronismo", per incivile irrecuperabilità) lo dimostra. Quelle persone non avrebbero motivo di protestare se avessero qualcun altro su cui contare. Invece si sono visti privare di una persona, apparentemente, amica, loro alleato, strappata da mani ignote, sconosciute e ostili.

Dunque, qual è la soluzione a una questione tanto annosa? E' relativamente semplice: lo Stato dovrebbe colmare le lacune riempite dalla Camorra, con fatti concreti. Dovrebbe ridurre ciò che chiamiamo comunemente "tasse" ma che sono, in realtà, veri e propri pizzi per quantità, ristrettezza e rigidità di tempi; dovrebbe creare crescita economica che non vuol dire licenziare ad occhi chiusi per "motivi economici"; dovrebbe aumentare i salari per mettere in circolo più denaro in modo da far spendere di più e rilanciare l'economia (era chiaro persino a Giolitti) e non ridurre gli stipendi in modo da renderli appena sufficienti per pagare le tasse, facendo ristagnare il mercato; dovrebbe ridurre l'età pensionabile in modo da creare un continuo ricambio gnerazionale e non ridurre le pensione, aumentare l'età e rubare l'anzianità a intere generazioni (altro che Camorra!); dovrebbe incentivare le imprese, le industrie e non soffocarle ; dovrebbe puntare sul Sud: dovrebbe ripristinare le magnifiche industrie napoletane attive nel periodo borbonico, valorizzare (non rubare) le risorse energetiche della Calabria e della Lucania; dovrebbe sfruttare (non rubare) i giacimenti di gas siciliane (e, con questi due punti, mettere fine alla propria dipendenza nei confronti di Paesi esteri); valorizzare i porti di Catania, Salerno, Gioia Tauro, ridare industrie a Cosenza, incentivare il turismo pugliese, l'olio della Basilicata, i vini della Campania, l'export molisano.

Questa è solo una piccolissima parte del lavoro che bisognerebbe fare. Bisogna puntare e investire definitivamente sul Meridione, come la Germania Ovest puntò e investì sulla disastrata Germania Est dopo il crollo del Muro di Berlino. Il Sud è una terra di immense e illimitate potenzialità, di ricchezze sfruttate da tutti, inglesi, americani, arabi, francesi, tranne che dall'Italia che preferisce, ad esempio, la manodopera a basso costo nordafricana alla fertile agricoltura siciliana. Tutto questo per mancanza di volontà, per invidia, per una paura derivata da una parte del Paese vista come nemica e non come alleata. E si preferisce abbandonare quelle magnifiche terre alla Camorra. Date a Scampia delle fabbriche, degli spazi adeguati a lavorare e vedrete che la Camorra avrà seri grattacapi. La gente potrà lavorare come si deve, non avrà bisogno di spacciare droga per vivere. E, invece, le si abbandona di proposito, come un accordo tra due Stati: lo Stato e la Camorra sono alleati, l'uno non esiste senza l'altro. Se così non fosse, se uno dei due desse davvero fastidio all'altro, uno dei due avrebbe già dovuto soccombere. Come negli anni '70: le Brigate Rosse, Lotta Proletaria, NAP e altre organizzazioni affini non esitarono a usare bombe, a eliminare senza scrupoli chiunque, in nome dello Stato, anche in nome della sinistra, tentasse di fermarle: tempo una decina d'anni e le Brigate Rosse sono scomparse. La Camorra non si elimina perché non si vuole.

Ora, facile critica sarebbe:"E Borsellino, Falcone, Impastato che hanno dato la vita affinché lo Stato e la legalità prevalessero sulla Camorra?". Costoro furono eroi che combatterono assiduamente per lo Stato, il quale li ha traditi come al solito. Loro erano pericoli per la solidità del connubio Stato-Camorra e sono stati fatti fuori all'istante. Perciò Saviano stia tranquillo: se avesse scritto cose davvero scomode per chiunque, a quest'ora già era, abbondantemente, polverizzato, sia pure a costo di far saltare in aria tutto il suo quartiere di residenza.


"La mafia aveva bisogno dello Stato per esistere. Ora lo Stato ha bisogno della Camorra". E la Camorra serve eccome: serve per mantenere lo stato di minorità del Sud, per distruggerlo, per spremere sempre lo stesso limone, per mantenerlo in schiavitù, per ridurlo in colonia qual è. E per il povero meridionali, quindi, la distruzione continua, l'esodo non accenna a diminuire, il pregiudizio verso di loro continua, imperterrito, ad essere alimentato. Il processo da me illustrato è condannato ad andare avanti di anno in anno, ad essere tramandato di generazione in generazione, per anni, finché il nostro popolo non verrà definitivamente estinto, come lo stesso Hitler sarebbe stato incapace di fare, se non fisicamente (non che non ci abbiano provato eh...) dal punto di vista della memoria, della coscienza, dell'anima. Il meridionale che ha aperto gli occhi vive, quindi, come un guscio d'uovo vuoto. Esiste e basta, senza emozioni, senza orgoglio, senza vita. Possiamo sentirci orgogliosi di uno Stato simile? Il sottoscritto no di certo. Quindi, può darsi che la prossima volta che vedo un tricolore, il mio accendino non passi troppo lontano dalla sua stoffa, intessuta con il nostro sangue.

domenica 1 aprile 2012

"Prete col chiodo fisso" scovato da Le Iene. Video integrale annesso con concorso di razzismo


Le iene-il prete con il chiodo fisso di skorpion-05





Questo è il video mandato in onda da "Le Iene" giovedì sera. E' uno dei filmati più raccapriccianti che abbia mai avuto la sfortuna di vedere. Non ho mai visto nulla di così disgustoso, triste, spaventoso e angosciante. E, per riuscire a scandalizzarmi, ce ne vuole!

Questo spiacevole avvenimento ha avuto la sfortuna di accadere in un paese in Provincia di Napoli, Marano. Per cui, vi lascio immaginare quali ripercussioni avrà questa vicenda. Però voglio fare di più, voglio indire un concorso. Avrà un premio speciale il primo imbecille che:
  1. E' un razzista, di vario motivo "politico", col "chiodo fisso", per l'appunto, di Napoli in particolare e del Sud in generale e rilascerà commenti del tipo:"Ma che schifo, mi fate venire da vomitare, sporchi terroni, popolo di m@@@a, ignoranti e puzzolenti. L'unica soluzione per voi è il Vesuvio";
  2. E' un razzista "comprensivo" e rilascerà commenti del tipo:"Io non ho niente contro i napoletani, però ponetevi delle domande se certi personaggi agiscono indisturbati. Se non cambiate, non potrete mai risolvere i vostri problemi;
  3. E' un razzista "comunistello" (appartengono a questa tipologia, di solito, soprattutto gli abitanti del Centro-Nord, quindi Emilia o Toscana):"Ma che m###a, che schifo. Quanto odio questa chiesa schifosa. Spero che il Papa e il Vaticano brucino al più presto. Però dai ragazzi, il popolo napoletano dov'è? Perché non fa una rivoluzione contro questi personaggi? Perché non scende in piazza contro la loro camorra e la loro chiesa oppressiva? SVEGLIAAAAAAAAAAAAAA!!! HASTA LA VICTORIA SIEMPREEEEEE!!
  4. E' un razzista "neofascista estremo" (questi sono soprattutto del Lazio e del Veneto) e rilascerà commenti del tipo:"Che schifo che mi fate. Siete dei topi lerci, la colpa dello sfacelo italiano è tutta vostra. Siete la rovina d'Italia e la fogna d'Europa. Puzzate, non lavorate, siete analfabeti, truffatori, falsi invalidi. Che m###a di città, io scapperei subito. Solo i forni per voi. DUX MEA LUX! HEIL HITLER!!!!
  5. E' un napoletano che vive a malincuore la propria città ed è in costante pena per essere nato in un "simile postaccio". Costui dirà cose del tipo:"Facciamo schifo. I soliti napoletani di m###a. E lo dico da napoletano. Mi vergogno di essere nato qui e non vedo l'ora di andarmene per non rimettere più piede in questo sporco reticolato di immondizia, camorra, disonestà e mancanza di rispetto per il prossimo. Viviamo nel peggiore dei posti. SCUSATECI NORD, ITALIA, EUROPA, MONDO. Queste cose, da voi, non accadranno perché avete la legalità nel sangue, a differenza nostra";
  6. E' un napoletano emigrato, complessato, che si vergogna di se stesso. Costui rilascerà commenti del tipo:"Mi fanno schifo simili commenti, però chiediamoci come mai certe cose accadono solo a Napoli mentre nel resto d'Italia tutti vivono in pace, in armonia e il pulizia e certe cose non esistono nemmeno. Ho fatto proprio bene ad andarmene e a non tornarci più. Come diceva De Filippo:"Fujetavenne"!
  7. E' un razzista proveniente dal resto del Sud, con ingiustificati ed evidenti complessi di inferiorità che stimolano il suo provincialismo e gli impediscono di fare forza comune, avvantaggiando il Nord. Costui rilascerà commenti del tipo::"Napoli è proprio la rovina del Sud. Staremmo molto meglio senza la vostra immagine, senza gli stereotipi che ci scagliate addosso. IL SUD RIPUDIA NAPOLI. NON SIETE DEGNI DI ESSERE MERIDIONALI"
  8. E' semplicemente uno stupido, con il cervello totalmente lavato dalla curva della propria squadra di calcio. Emetterà, di certo, ululati di questo tipo :"SCHIFOSIIIII. GRAZIE CHELSEA, NAPOLI COLERA, FOGNA DELL'ITALIA INTERAAA AHAHAHAH MONNEZZARI"


Che tipo di razzista siete voi? SCOPRITELO RILASCIANDO UN COMMENTO. Il primo che lo fa, riceverà un bellissimo premio!

lunedì 19 marzo 2012

Napoli supera la prima fase di qualificazione a città meraviglia del mondo

Vi ricordate il concorso tra 1200 città in lizza per diventare 7 meraviglie del mondo? Ho una buona e una cattiva notizia. Per il Sud erano candidate Bari, Taranto, Napoli, Palermo, Messina e Catania. La cattiva notizia è che 5 di queste sono state eliminate. La buona notizia è che Napoli ce l'ha fatta ed è addirittura prima nel ranking europeo.Per far tornare Napoli a splendere come un tempo, però, ha ancora bisogno dei nostri voti. Sotto troverete un link utile per votare. Ricordo che DOVETE votare per forza 7 città e NON PIU' di una per nazione. Diffondete la notizia con Twitter, Facebook, email, sms e qualsiasi altro mezzo. La vostra terra, la vostra storia passata e futura vi ringrazierà.





lunedì 5 marzo 2012

Ancora bandiere duosiciliane durante Parma-Napoli

Ieri, durante la partita di campionato italiano di calcio di serie A, Parma-Napoli, ho notato una cosa forse sfuggita ai giornali. E' stato esposto nuovamente lo stendardo del Regno delle Due Sicilie. La tifoseria napoletana non è nuova a certe cose; che io ricordi, accaddero analoghi episodi in Manchester City-Napoli e in Napoli-Juventus. Non sono riuscito a rimediare delle foto e ho già trattato l'argomento, ma voglio ribadire ciò che ho già affermato.

La chiave di lettura è duplice: da una parte, mi fa assolutamente piacere che una popolazione tanto martoriata e infangata, riacquisti le nobili radici del suo passato e lo esponga come un vanto anziché lo nasconda come una vergogna come si faceva fino a poco tempo fa.

D'altra parte, però, rischia di sminuire il valore della riscoperta storica contro le bugie risorgimentali in atto negli ultimi anni. Si rischia di far passare tutto come un fenomeno "indegno", da stadio, si rischia di ridurre la Storia a sfottò tra curve di opposte tifoserie, si rischia di rovinare la nomea di tifoserie del Sud piene di calore e di allegria e farle diventare come quelle tifoserie incivili che "fanno politica" urlando insulti razzisti e sventolando croci celtiche o bandiere leghiste.

Certe cose lasciamole fare a loro. La Storia è ben altro

mercoledì 29 febbraio 2012

Ero convinto di essere meridionale anche io, ma, leggendo "Giù al Sud" di Pino Aprile, ora ho qualche dubbio

Sapevate che gli aiuti dati al governo giolittiano alla popolazione messinese, all'indomani del terribile maremoto del 1908, consistettero in furti, fucilazioni e razzie dei soldati a danni degli alluvionati? Sapevate che il sistema bancario napoletano era ritenuto uno dei meglio affinati del mondo e che, tra il 1831 e il 1859, promosse più attività produttive che la Banca Nazionale nei 30 anni successivi all'Unità? Sapevate che la povera e affamata Calabria possedeva l'industria siderurgica migliore del mondo?

Per chi ha già letto autori come De Viti De Marco, Gaetano Salvemini e Nicola Zitara, sicuramente non saranno novità. Per tutta un'emergente generazione di meridionalisti, sempre più numerosa, paragonabile, come dice Aprile con molta lungimiranza a mio avviso, alla generazione della Beat Generation degli anni '60, lo sarà eccome. E, per sapere queste e centinaia di altre novità, questo dev'essere per loro un libro imperdibile, da prendere quasi come un vangelo, perché dice solo verità. E il paragone fatto da Aprile è davvero sorprendente, perché facilmente constatabile. Non risulta difficile trovare punti in comune tra questo nuovo (e inedito) movimento di giovani meridionali, che hanno come totem gente come Gigi Di Fiore e, appunto, Pino Aprile, ascoltando le musiche popolari ed etnologiche di Eugenio Bennato e quelle di Mimmo Cavallo, e quel movimento che diede vita al famoso '68, che ascoltava il dio della musica, Jimi Hendrix, e i mitici Rolling Stones, che aveva come vangelo i libri di Keruac e Ché Guevara, con la differenza, riportata dallo stesso Aprile, che questa nuova generazione è più concreta, più innovativa e meno ingenua. Ma entrambe rappresentano uno scossone al vecchio sistema: la generazione sessantottina era una protesta all'educazione cattolica e illiberale del tempo, una controcultura a quella ufficiale, ancora fascista e reazionaria, un ribellismo allo status quo delle caste padronali e alla società patriarcale e bigotta; la generazione meridionalista è uno scossone alla condizione di subalternità in cui il Sud Italia si vede immerso, una controstoria alle versioni ufficiali, corrotte da una retorica savoiarda prima e fascista poi, e mai più risollevatasi, che vedono il Sud come atavicamente arretrato e incivile, un ribellismo alla casta di politici (indistintamente di destra e di sinistra, che sono divisioni anacronistiche) che insulta, infanga e calpesta il Sud e sostiene la menzogna che, nonostante i loro immani, tempestivi e gratuiti sacrifici, il Sud sia troppo pigro o troppo rovinato per risollevarsi e che, ingenerosamente e senza pudore, osa chiedere di più e criticare ciò che già hanno loro immeritatamente e lautamente retribuito.


Pino Aprile ha avuto il merito di dare voce a questa generazione e, col fortunato best seller "Terroni", ha posto problemi noti solo a pochi e ha dato vita alla più svariata letteratura, ironia della sorte, proprio in occasione dei 150 anni dell'Unità italiana. Il libro si compone di una serie di racconti sparsi, di episodi a cui lui ha assistito nel corso dei suoi viaggi al Sud, di racconti di giovani meridionali laureati con lode e costretti ad emigrare al Nord (circa un miliardo di euro in risorse che il Nord guadagna a spese del Sud), di paesi svuotati dalla disoccupazione e dalle razzie nordiste in 150 anni. E le cose che dice sono tutte vere e, alcune, sono raccapriccianti. Ciò che il Sud ha subito (e subisce) sarebbe da denunciare alla Commissione per la Tutela dei Diritti dell'Uomo che, tra l'altro, ha già condannato per ben due volte l'Italia per la questione dei rifiuti di Napoli e per i maltrattamenti subiti dagli immigrati di Lampedusa (mentre, come Aprile stesso ricorda, la Germania, negli anni '90, accolse senza alcuna difficoltà 100 mila immigrati dai Balcani sconvolti dalla Guerra del Kosovo,e ,all'epoca, la Germania si era appena riunita). Neanche la Cina o l'Iran!

Lo sapevate che la Gelmini ha eliminato gli autori meridionali come Gatto, Scotellaro, Sciascia e Silone dai programmi "sufficienti per un'adeguata preparazione"? Lo sapevate che il Governo Berlusconi IV girò i fondi destinati alla ristrutturazione delle università del Sud all'Accademia delle Armi di Brescia e alla rottamazione delle automobili del Nord? Lo sapevate che l'industria settentrionale stava andando in fallimento dopo la Prima Guerra Mondiale e lo Stato italiano la aiutò pesantemente con i soldi di tutti, mentre l'eccellente industria borbonica fu depredata e abbandonata senza pietà? Per coloro non erano al corrente delle ruberie del Nord durante il Novecento, questo libro farà loro sgranare gli occhi per l'indignazione, farà loro schiumare di rabbia per ingiustizie passate sotto silenzio e, anzi, addossate alla vittima stessa.

Sono, però, costretto ad aprire una lunga parentesi critica nei confronti delle sue scelte. E, nella remota ipotesi che Aprile legga queste mie parole, vorrei chiedergli: non le pare di aver creato un "Nord del Sud" e un "Sud del Sud"? Non crede che abbia trascurato molti fattori imprescindibili per qualunque libro che si ponesse a "vessillo della nuova fierezza meridionale"? Pino Aprile si è concentrato, quasi esclusivamente, su Calabria e Puglia, con continui richiami alle risorse sfruttate abusivamente dal Nord alla Sicilia e alla Basilicata. La Campania, invece, la Regione che ha ospitato la capitale del Sud dal 1130 all'Unità, è solo vagamente citata nei discorsi più remoti e retorici (e, in quanto a retorica, alcune parti del libro non scherzano) di cui il libro abbonda. Il Molise? Questo sconosciuto! L'Abruzzo, Regione meridionale a tutti gli effetti, al contrario della Sardegna citata in continuazione? Non esiste. E le Province storicamente meridionali come Latina e Rieti, dimenticate dal Sud perché non più meridionali , rifiutate dal Nord perché mai del tutto nordiste e che ora fungono da "Striscia di Gaza" nella vera e propria guerra civile che il Paese attraversa? Eppure queste Province hanno ospitato le fortezze che hanno resistito più all'invasione piemontese, come Civitella del Tronto e Gaeta.

E le grandi città meridionali la cui economica è stata distrutta dai Savoia come, appunto, Napoli, Palermo, Bari o Reggio Calabria? Mai citate, neppure per sbaglio. Al libro dev'essere riconosciuto il merito di aver dato voce a tanti paesini calabresi e pugliesi che non esistono per i media, dimenticati anche da loro stessi, distrutti dalla perenne recessione meridionale. Eppure non si può capire a fondo la Questione Meridionale, lo stato in cui il Sud è stato gettato dopo essere stato spolpato, se non si guarda alle sue città capitali. Le due storiche capitali, del Regno delle Due Sicilie e, in precedenza, del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia, Napoli e Palermo non sono mai state menzionate, non ha messo in risalto il loro stato d'abbandono e dei loro deboli segnali di ripresa (mi sarebbe piaciuto almeno un capitolo dedicato al confronto tra Napoli, Palermo e Bari con ex capitali decadute come Saigon, Bonn e Caracass). Soprattutto la città partenopea, città in cui i lati positivi e negativi del Sud vengono elevati al quadrato. E proprio Napoli è parsa bistrattata.

Già dalla parte in cui Aprile era a Sbig (paesino ufficialmente in Provincia di Benevento, ma praticamente in una terra di nessuno tra Puglia, Campania e Molise) si legge:"Dove si butta la monnezza degli altri? Al Sud. Quella del Sud? Più a Sud: a Sbig. E ti pare che ci facevamo mancare la discarica? Il miracolo temporaneo di Napoli ripulita eccolo là": appena sotto il paese, giusto addosso alla pigra valletta del riscello; è uno dei posti lontano dagli occhi e dalle telecamere in cui furono sversati i rifiuti partenopei. E' la proprietà distributiva della monnezza: quella tossica del Nord finisce al Sud, specie in terra camorrae; e da lì democraticamente divisa, un po' a ciascuno, ai paesini dell'interno, per i quali nessuno strillerà ai telegionarli".

Cosa ha voluto dire? Che forse Napoli ha tratto qualche giovamento dalla martellante campagna diffamatoria per un'emergenza rifiuti (finita da più di un anno, senza che Aprile lo dica neanche una volta) voluta dalle lobby governative in combutta con la camorra? Crede che sia stato un vantaggio che "si strilli ai telegiornali"? Crede che questa macchina del fango abbia reso Napoli più importante? Se proprio si vuole andare a trovare delle disparità all'interno del Sud, avrebbe dovuto parlare delle croniche emergenze rifiuti di Palermo, di Potenza, di Reggio Calabria, di Foggia ignorate dai media (e sono contento che non ne abbia parlato nessuno per non danneggiare ulteriormente l'immagine del Sud, sia ben chiaro).

Sempre in tema di spazzatura, la Campania esce con le ossa rotte da questo libro. Non è stato detto nulla (non una riga) per sfatare questi luoghi comuni, di cui tutta la Campania ne ha sofferto. Non è stato detto nulla su Salerno, città sorprendente, che ha strabiliato l'Europa per la sua pulizia, la cui civiltà è diventata proverbiale anche al Nord; non è stato detto nulla sulla Provincia di Caserta, descritta come una giungla in cui vige solo la camorra, in cui solo 7 Comuni hanno una percentuale di differenziata inferiore al 30%; non è stato detto nulla sulle percentuali di differenziata dei Comuni dell'Area Vesuviana, di cui pochi al di sotto del 40%; non è stato detto nulla sui quartieri di Napoli in cui è stata estesa la raccolta differenziata porta a porta e 7 di loro raggiungono quote superiori al 95%; non ha parlato di Scampia, area degradata e diffamata che non necessita di presentazioni, la cui differenziata è al 70%; avrei voluto qualche riga spesa sulle rivolte di Terzigno per difendere il Parco Nazionale del Vesuvio dall'ennesima discarica, sul duopesismo delle proteste di Chiaiano e della No-Tav, così come pure il razzismo, la cattiveria verso il Sud amplificati verso Napoli, al quale ha dedicato la miseria di 3 pagine, forse le più brutte del libro; non ha detto nulla sugli scavi di Pompei che si sgretolano nell'indifferenza generale, scevri di fondi scippati dal Nord; non ha detto nulla sugli scempi dell'amianto a Bagnoli; mi sarebbe piaciuto anche un capitolo dedicato all'anomalo attaccamento della città alla propria squadra di calcio, che non è, come ad una prima analisi può apparire, semplice superficialità.

Per la città è l'unica cosa di cui andarne orgogliosi, l'unica cosa alla quale non hanno denigrato il passato per rubarle il futuro, l'unica cosa rispettata, l'unico punto di riferimento, perché sentito come proprietà comune e non "di altri"; avrei voluto un viaggio intorno a quelle persone che lavorano per i circoli culturali e devono convivere con il pregiudizio di molti; avrei voluto un viaggio negli stabilimenti di Pomigliano D'Arco, Melfi e Termini Imerese in cui gli operai vengono trattati come bestie; avrei voluto dei capitoli sulle famose industrie napoletane del periodo borbonico e il confronto con lo squallore attuale; avrei voluto capitoli che aiutassero l'ex capitale meridionale ad avere fiducia in se stessa, a riscoprire il suo passato, a constatare che la sua storia e la sua cultura non è inferiore a nessuno e,anzi, superiore a quella di alcuni, a far capire ai suoi abitanti che anche per loro, forse c'è un futuro. Invece, Pino Aprile ha selezionato una sola parte del Sud che viene costantemente ignorata per un processo orwelliano di "evaporazione". Non parlarne, così smettono di esistere, verranno distrutte. Ed è giusto che queste Regioni, patria della cultura e civiltà europea, sfruttate oltre l'inverosimile, riacquistino la propria dignità e il proprio orgoglio, ma allora si dovrebbe cambiare il titolo in:"Giù in Calabria e in Puglia" e non "Giù al Sud", perché, se queste Regioni sono parti integranti del Sud, trovo sia sbagliato, ed anche ingiusto, identificare tutto il Sud, interamente in loro.

Altro punto che mi lascia molto perplesso è quello riguardante gli indipendentismi delle Regioni. L'indipendentismo in questione è quello siciliano. Aprile fa una storia a dir poco perfetta di come i siciliani acquistarono il loro Statuto speciale e dei loro movimenti di indipendenza dai Borbone. Io sono del parere che un vero meridionalista non può appoggiare movimenti che tendono a scindere il Sud, se non come folklore. Sostengo la diversità di cultura e di storia delle Regioni meridionali, ma il Sud unito è un valore imprescindibile. E, a proposito di indipendentismo, è stato ignorato quello beneventano e della fantomatica Regione del Molisannio. Condannabili entrambi, ma il secondo ignorato i il primo no.

Ci sono diverse chiavi di lettura per questa scelta, quantomeno discutibile, di Pino Aprile di escludere totalmente la Campania dal suo libro (non la menziona nemmeno nell'elenco degli svantaggi che le Regioni del Sud potrebbero avere in un federalismo in salsa leghista). Forse non voleva ripetere l'errore, comune, banale e irritante di identificare tutto il Sud con Napoli? Ma allora perché ha ignorato tutte le altre grandi città del Sud? Forse ritiene Napoli e la Campania troppo degradati e degradanti per poterle menzionare in un libro atto a costituire un riscatto del Sud? Non sarebbe da lui. Forse ha voluto, con questo libro, difendere il resto del Sud dall'immagine negativa che la Campania e Napoli hanno regalato in questi ultimi anni? Usando malizia e dietrologia e non conoscendo Pino Aprile, potrebbe darsi. Sta di fatto che è stato un errore troppo grosso aver trascurato una fetta del Sud così importante che contribuisce alla poca crescita che c'è al Sud, che contribuisce all'immagine del meridionale all'estero e in Italia, una fetta che attendeva il riscatto, ferita, che ha avuto una delusione da parte di un amico.

Non può esistere un progetto plausibile di meridionalismo senza Napoli e la Campania e, finché essi verranno ignorati, la sua opera non può dirsi completa, anzi, quasi offensiva dato che dà l'impressione di non considerarle Sud. Aprile scrive un libro quasi perfetto ma cade su tali banalità. Ignora le richieste d'aiuto di una Regione-chiave per il Sud che di aiuto ne necessita eccome. "Giù al Sud", per concludere, è un libro stupendo e deludente al contempo.

martedì 28 febbraio 2012

Scontri in Val di Susa, ferimento leader No-Tav Luca Abbà. Corteo di solidarietà a Napoli. Credo ci siamo spinti troppo in là

Sicuramente tutti starete seguendo la protesta del Movimento No-Tav, contro il treno ad alta velocità Torino-Lione dagli elevatissimi costi che deturpa il paesaggio. Ieri, inoltre, è rimasto ferito (casualmente o meno) il leader del loro movimento, Luca Abbà. L'Italia intera si è indignata. Non riescono a capire come faccia uno Stato di diritto a non ascoltare le proteste tanto accanite di una popolazione; la Rete si è infuocata, da Aosta a Pantelleria, non ce n'è uno che non ne parli. Figuratevi che ieri, nel pieno centro di Napoli, addirittura hanno organizzato una manifestazione di solidarietà per i valsusini in lotta.

Ma non vi ricorda qualcosa già accaduto in forme, razioni e misure diverse? Senza andare troppo indietro nel tempo, l'Italia fu paralizzata dal Movimento dei Forconi, di origini sarde ma esportate dai pastori e dagli autotrasportatori siciliani e calabresi; ancora prima, nei giorni più neri dell'emergenza rifiuti di Napoli, la popolazione di Terzigno, Chiaiano, Pianura e Soccavo si ribellavano alla costruzione di una discarica che sarebbe diventata, con ogni probabilità, la pattumiera di tutt'Europa, proprio sotto casa propria, a Terzigno addirittura nel Parco Nazionale del Vesuvio; ancora, le inascoltate proteste a Potenza, nella Val D'Angri e nel Vallo di Diano per i furti dei giacimenti petroliferi da parte del Nord.

Ma come sono state trattate queste manifestazioni? Con lo stesso rispetto? Per la Tav si sono creati molti pareri differenti, pro e contro, anche di chi, con la Val di Susa, non ha nulla da spartire, di chi si trova a centinaia di chilometri di distanza, di chi non l'ha mai vista e , probabilmente, mai la vedrà. Come mai per le suddette proteste il trattamento è stato così differente? Qual è stata la differenza sostanziale tra di loro?

Ricordate quando l'Italia intera fu paralizzata dallo sciopero dei tir, dei rifornimenti, dei Forconi? E' stato un movimento che il sottoscritto non ha mai appoggiato, anzi, fortemente criticato, ma, il giorno dopo lo scoppio di questa protesta, circolò su tutta la Rete che alle manifestazioni hanno partecipato vari esponenti di Forza Nuova siciliana. La protesta, quindi, è stata subito etichettata come fascista, reazionaria, spazzatura, indegna. E le ragioni delle loro proteste non sono state affatto ascoltate, le televisioni si sono limitati a riportare i fatti di cronaca, aspettandone la fine, come un'ondata di maltempo: fastidiosa, ma, tutto sommato, di breve durata. Non si capisce, quindi, perché i media non etichettino anche i valsusini come "facinorosi comunisti" (definizione non del tutto campata in aria) e tutto finisce.

Vogliamo parlare delle proteste per le discariche in Provincia di Napoli? Credo sia legittimo voler difendere la propria casa dalla spazzatura e dall'ecomafia, ma i media non erano della stessa opinione. Le notizia che arrivavano puntualmente erano riguardanti esclusivamente i raid contro i mezzi della nettezza urbana, le molotov lanciate contro la polizia e i presidi notturni. La strada delle discariche è abbondantemente superata. Bastava sovvenzionare uno Stato estero, eccellente nello smaltimento dei rifiuti, per qualche settimana, in modo che le discariche iniziassero a svuotarsi (dopo essere state riempite abusivamente dalle ecomafie del Nord) e le preparassero per la bonifica, e, nel frattempo, avviare un progetto serio di raccolta differenziata porta a porta. Vero, era un progetto lungo, costoso e tedioso, ma credo che un investimento importante avrebbe tratto anche i suoi frutti.

Invece, le legittime proteste di una popolazione, già asfissiata, deturpata oltre l'inverosimile da 151 anni di colonialismo, sono state etichettate come "facinorose", "camorriste", da buttare, meri urli di straccioni che pretendono anche di essere trattati come esseri umani. E i commenti della gentaglia che ci governa(va) si sprecavano:"I soliti terun incivili"; "E io pago (ma cosa, mi piacerebbe sapere... N.D.A.)" ; "sempre a lamentarsi 'sti terun, non gli va mai bene niente"; "A Brescia e a Montecarlo ci sono termovalorizzatori nel centro cittadino, civilizzatevi, adeguatevi". Insomma, ecco la solidarietà che la popolazione napoletana ha ricevuto, molto diversa dalle reali solidarietà della Val di Susa.

E, ciliegina sulla torta, a Napoli si è organizzato un corteo in favore di Luca Abbà, caduto da un traliccio (o fatto cadere, più probabilmente) in una giustissima e ammirevole difesa della sua terra, con la quale i napoletani non hanno assolutamente nulla a che vedere. E, a ruoli invertiti, ecco la solidarietà nordista ricevuta. Ora, non dico che non c'è stato un solo singolo nordista che non sia stato solidale, anzi, saranno stati più del previsto perché il bene non fa mai rumore, ma sarà stata una solidarietà a livello di opinioni personali fini a se stesse. Di certo non saranno state organizzate manifestazioni nei centri d Firenze o Verona a favore dei siciliani e napoletani in lotta (forse di sostegno alla polizia affinché li massacrasse tutti. Questo è possibile...) e, se tali manifestazioni si sono tenute, di certo nessun media ne ha mai anche accennato vagamente.

Io sostengo con forza le ragioni dei No-Tav, ma addirittura organizzare cortei nei centri meridionali a suo favore è un po' troppo, specialmente considerando il trattamento inverso quale è stato. Se fossi realista direi che è stata una calata di braghe in piena regola, ma, visto che voglio sforzarmi di trovare del bene in ogni cosa, dico che è stato un gesto lodevole, figlio di troppa ingenuità.

In ultimo, vorrei citare ancora le proteste inascoltate dei lucani e calabresi, non ultima quella di sabato a Potenza, contro lo sfruttamento nordista delle proprie risorse. Ma, forse, è meglio sorvolare e tacere, perché prenderei tutto il server di blogger.com se iniziassi a parlarne.



domenica 19 febbraio 2012

Sanremo 2012: sicuri che il problema di Siani non era quello di aver parlato napoletano?

Si è conclusa un'altra edizione del festival di Sanremo. A parte la scontatissima vincitrice (Emma) raccomandata dalla solita Maria De Filippi, vorrei puntare l'attenzione sulla performance di venerdì sera di Alessandro Siani, comico napoletano che si è visto autore di un paio di battute anche abbastanza comiche.





Ecco la pagella del Corriere della Sera su di lui:


Riesce nella difficile impresa di fare un monologo senza azzeccare nemmeno una battuta. Strappa l'applauso al pubblico dell'Aristion solo quando cede al demagogico e perora tema dell'unità d'Italia. Ma il primo dovere per un'Italia unita non sarebbe quello di parlare una lingua unitaria? Voto 4



A questo punto mi viene seriamente da ridere ed arrabbiarmi. Alessandro Siani, per il quale il sottoscritto certo non impazzisce, sarebbe demagogo perché ha tirato in ballo l'unità d'Italia? E perché non definire demagogo anche il Benigni dell'anno scorso? Quella era cultura? Quella era filosofia? Se lui avesse parlato in fiorentino, in lombardo o in romano nessuno avrebbe detto nulla. Sicuri che il suo unico difetto non era quello di aver parlato in lingua napoletana?

Non voglio più essere un colone. Che schifo l'Italia