domenica 19 febbraio 2012

Sanremo 2012: sicuri che il problema di Siani non era quello di aver parlato napoletano?

Si è conclusa un'altra edizione del festival di Sanremo. A parte la scontatissima vincitrice (Emma) raccomandata dalla solita Maria De Filippi, vorrei puntare l'attenzione sulla performance di venerdì sera di Alessandro Siani, comico napoletano che si è visto autore di un paio di battute anche abbastanza comiche.





Ecco la pagella del Corriere della Sera su di lui:


Riesce nella difficile impresa di fare un monologo senza azzeccare nemmeno una battuta. Strappa l'applauso al pubblico dell'Aristion solo quando cede al demagogico e perora tema dell'unità d'Italia. Ma il primo dovere per un'Italia unita non sarebbe quello di parlare una lingua unitaria? Voto 4



A questo punto mi viene seriamente da ridere ed arrabbiarmi. Alessandro Siani, per il quale il sottoscritto certo non impazzisce, sarebbe demagogo perché ha tirato in ballo l'unità d'Italia? E perché non definire demagogo anche il Benigni dell'anno scorso? Quella era cultura? Quella era filosofia? Se lui avesse parlato in fiorentino, in lombardo o in romano nessuno avrebbe detto nulla. Sicuri che il suo unico difetto non era quello di aver parlato in lingua napoletana?

Non voglio più essere un colone. Che schifo l'Italia

sabato 21 gennaio 2012

Udite udite: Benevento chiede la separazione dalla Campania. Causa Napoli.

Ebbene sì. Il Sud, anziché compattarsi, unirsi e formare un unico corpo indivisibile per resistere ai soprusi settentrionali, pensa anche a crearsi una Lega fai-da-te.
Stavolta tocca alla provincia di Benevento rendersi protagonista del ben poco lusinghiero teatrino. Il coordinatore provinciale beneventano, Luigi Bocchino, chiede la scissione del Sannio dalla Campania e l'annessione al Molise al fine di creare una nuova regione, il Molisannio.

Tutto questo, ovviamente è assurdo, grottesco, incivile, quasi puerile. La motivazione, avanzata dal fondamentale, instancabile e, soprattutto, indipendente partito Noi Sud, è l'evidente, insopportabile e inammissibile "Napolicentrismo".

Vi spiego cosa vuol dire questa parola misteriosa secondo i dotti e i filosofi coordinatori beneventani:"Napoli gode di troppa considerazione rispetto alle altre province. Tra i privilegi del capoluogo, viene elencata la nascita della Acn (America's Cup Napoli), la società che dal 2012 gestirà l'evento, accusata di curare i soli interessi della città, mentre al Sannio e a Benevento resterebbero solo le briciole" (Da "L'espresso" del 26 gennaio 2012).

Vorrei che tuti voi lettori capiste il dramma che vivono questi poveri amministratori beneventani. Napoli è il capoluogo della Campania, ex capitale del glorioso Regno delle Due Sicilie, ma non è giusto che sia considerata sui palcoscenici italiani ed esteri più importante delle altre città campane; Napoli ha superato le selezioni tra migliaia di città mondiali per aggiudicarsi la Coppa America (sempre ammesso che la si porti a compimento, vista l'incapacità che sta dimostrando la giunta, da questo punto di vista) ed è assolutamente ingiusto che la Regione Campania fondi un'associazione atta a prendere in mano le redini dell'organizzazione; e, soprattutto, la cosa più grave è che, essendoci la Coppa America a Napoli, nessuno abbia pensato a Benevento in occasione della stessa!

Chiedo scusa il tono piccato e acido con il quale scrivo, ma dinnanzi a certi orrori è davvero difficile rimanere freddi e imparziali. Credo che le parole del coordinatore Bocchino abbiano fatto presa su un gruppo di montanari pensionati la quale mente, confinata 24/7 tra le mura del fienile o dell'orto, non riesce ad estendersi al di là delle Colonne d'Ercole del proprio paesello.

Queste sono davvero parole vergognose, fatta da gente indegna, superficiale, e provinciale. Gente rimasta ancora al medioevo o giù di lì. E questa è una delle tante piaghe che affliggono il Sud: ognuno pensa al proprio affare, alla propria vita, al proprio tornaconto, alla propria casetta, al proprio paesello. Vergognatevi.

mercoledì 18 gennaio 2012

Disastro Concordia? Colpa di Napoli naturalmente

E' passata quasi una settimana, ormai, dalla tragedia della nave da crociera Cosa Concordia. L'evento è stato assolutamente inspiegabile: pare molto difficile, con le moderne tecnologie, urtare uno scoglio o arenarsi su una secca per le navi di oggi. La faccenda è stata, inevitabilmente, strumentalizzata dai media nazionali onde trovare un argomento valido e, al contempo, "toccante" su cui far concentrare la popolazione, rendendola cieca e sorda a problemi più rilevanti (senza, con ciò, nulla togliere alla gravità della situazione o mancare di rispetto ai familiari delle vittime), metodo già adottato ampiamente, tra l'altro, per casi di cronaca come gli omicidi di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio e Melania Rea.


Ma io vorrei mettere il fuoco della situazione su un punto che i media non hanno ritenuto, evidentemente, abbastanza rilevante. A causare il disastro è stato un comandante di nome Francesco Schettino, nato a Sorrento, lavoratore nella Costa Crociere dal 2006. Ora, non vorrei impiantare un discorso improvvisando il sottoscritto un marinaio provetto o un lupo di mare, pertanto non sarà certo un articolo basato su una critica del metodo di navigazione di Schettino. Sarà, altresì, scopo di questo articolo analizzare la superficialità e l'infamia tutta italiana.

Ai critici in questione non è mancato di sottolineare la provenienza geografica di Schettino. Un manipolo di persone, di discutibile cultura e umanità, non ha mancato di scagliarsi inferociti, accecati da un odio inspiegabile, sordo, manipolato verso il Sud e, in particolare, Napoli, città natale di Schettino. Costoro hanno imbottito i numerosi video disponibile su You Tube, a proposito della telefonata tra il capitano De Falco e il comandante stesso, di commenti assolutamente fuori luogo, privi della benché minima argomentazione, secondo i quali la spiegazione del disastro era da attribuirsi a Napoli e all'ignoranza, alla disonestà e alla pigrizia che contraddistinguono, a loro dire, la città partenopea.

Voglio sperare che, coloro che leggeranno quest'articolo, le mie parole appariranno insolite, perfino comiche. Come sarà possibile attribuire tutto questo al semplice fatto che Schettino sia napoletano? E, soprattutto, in che modo ha influenzato questa caratteristica? E, ancora, ponendo per assurdo che i commenti stracolmi di pregiudizio siano reali, come mai non vale lo stesso per De Falco, napoletano anch'egli, ma osannato, quasi santificato, suo contrario? Purtroppo, una simile reazione, ce l'avrà solo colui che è scevro da pregiudizi e idee preconcette fondate sulla sabbia bagnata. Ma, purtroppo, non tutti sono così fortunati. Vi spiego come è stato possibile un tale exploit di commenti tanto indegni, da meritare quasi l'arresto, per qualsiasi Paese, di un minimo, civile.










Torna utile, quindi, premettere che il Sud Italia (e Napoli in particolare), sono vittima di un continuo lavaggio del cervello mediatico. Non sto parlando di articoli o di denigrazioni da titoloni, o di notizie fondamentali. Sto parlando di frasi dette di sfuggita, come se ci fosse uno zimbello fisso, uno stereotipo platonico immutabile al quale, facendo di continuo riferimento, non si avrà mai l'occasione di cadere in errore. Ne potrei citare una marea. Un mese fa, un certo Pierluigi Diasco, opinionista discutibile de "La vita in diretta", rubrica pomeridiana di Rai 1, commentando il caso di una vittima di stalking che aveva denunciato la troppa libertà dell'accusato, aggiunse con sdegno:"Va bene che l'ambiente è Napoli, però..." come se Napoli fosse sinonimo di illegalità, di mancanza di senso delle regole e di ingiustizia diffusa;

Arturo Brachetti, intrattenitore trasformista, fu derubato dell'orologio a Lugano e scrisse, sul suo profilo Facebook,:"Mi hanno derubato manco fossi a Napoli"; Gene Gnocchi, comico sportivo, pronunciò l'infelice battuta:"Mazzarri ha annunciato il turn-over: domenica verranno derubate solo le mogli delle riserve" ignorando ragionevolmente i furti ben più clamorosi avvenuti a Torino, a Milano, a Firenze e a Roma, prerogando il furto solo per Napoli; Enrico Brignano, comico romano, durante un suo spettacolo, recitò uno sketch in cui imitava i dialetti italiani: arrivato al napoletano (non sapendo che è una lingua riconosciuta dall'UNESCO e non un dialetto) pronunciò le seguenti parole: "Munnezza"; "Puzza"; "Camorra"; "Mariuolo (ladro)".

Potrei continuare a lungo su questa strada e vi assicuro che di esempi ne conosco parecchi. La denigrazione del Sud ha origini relativamente recenti, più precisamente nel periodo immediatamente precedente il Risorgimento, che ha visto oggetto l'intero Meridione, costituente uno Stato immensamente più ricco, benestante e avanzato degli altri, la cui capitale Napoli fu addirittura assassinata (secondo la citazione di Gaetano Salvemini) subì lo smacco più pesante e il grosso degli attacchi. Trattandosi, questo, di un argomento assai più delicato, conviene tralasciare questo discorso. La situazione non è tanto diversa ora come nel XIX secolo.

Napoli continua ad essere oltraggiata. Gli stereotipi di Napoli sono di gran lunga smentiti da tutti coloro che hanno deciso di gettare le fette di salame appiccicate agli occhi: Napoli vuol dire monnezza? La monnezza fu un fenomeno voluto da un terzetto composto da lobby di multinazionali-camorra-malapolitica. Si ignora ovviamente l'emergenza rifiuti di Milano nel 1995 o le Regioni che esportano monnezza da anni e invece, per qualche tonnellata esportata in Olanda, Napoli è su tutti i giornali; Napoli vuol dire delinquenza? E' ovvio. Napoli è la terza città più grande e importante d'Italia, è una capitale mondiale e inevitabilmente non è una città a misura d'uomo. Ma i reati di Napoli non sono assolutamente maggiori di quelli di Roma (la cui parabola ascendente dei reati è davvero allarmante), di Milano, di Genova o di Firenze; Napoli vuol dire mancanza di senso civico e inciviltà? Questo è vero solo parzialmente. Tutto viene di conseguenza dall'ambiente che l'individuo frequenta, da cui è influenzato di continuo. Ma, visto che tale argomento ha radici molto profonde, in cui dovremmo addirittura risalire alla Riforma Luterana del 1517, conviene tralasciare anche quest'argomento.

Un libro-denuncia degli abusi e delle violenze di cui il Sud è vittima prenderebbe, ben presto, forma di enciclopedia e non è il caso di parlarne su un blog. Volevo solo denunciare, per l'ennesima volta, che il popolino bue, il popolino provincialotto, tutto calcio e televisione, colpisce ancora, è la maggioranza. Così, anche dinnanzi a decine di morti e a famiglie distrutte, il loro pensiero va a prendersela con chi proprio non c'entra. In tal malato modo, ormai, ragiona la mente di una fetta di popolazione.

martedì 17 gennaio 2012

Meridionali africani? Forse sì, ma vediamo in che ottica

Trovo un'analogia molto spiccata tra gli africani, gli asiatici e i meridionali:




I primi hanno dato orgine all'umanità intera, sono stato i progenitori dei progenitori dei nostri padri. Da questo potrebbero trarre gloria e ricchezze, invece sono costretti ad emigrare e ad essere trattati come bestie, come rifiuti.


















I secondi hanno dato vita alle scienze tradizionali, all'ermetismo, all'alchimia, all'esoterismo. In Egitto, in India, in Cina, in Tibet si trovano i resti della più antica e savia conoscenza e virtù. Tutto questo oggi è ristretto solo ad una ristretta attività tra monaci eremiti elitari. Potrebbero essere trattati come principi, invece sono costretti ad emigrare e ad essere trattati come bestie, come rifiuti.












I terzi hanno insegnato la civiltà all'Europa moderna, locomotiva del mondo Occidentale, molto prima dell'Antica Roma. Il Sud Italia già era un ritrovo di antiche conoscenze ellenistiche, molte città sono state fondate ben prima di Roma, sono state terra di filosofi, matematici e geometri, hanno avuto un Regno indipendente e unitario per secoli, sono stati estranei alle guerre di religione e dinastiche dell'Europa del XVII secolo, avevano i sovrani e il Regno più sviluppato del mondo, sono stati distrutti, barbaramente colonizzati, usurpati e saccheggiati ed ora sono costretti ad emigrare, ad essere trattati come bestie, come rifiuti.



lunedì 2 gennaio 2012

Vi spiego la truffa e la totale inutilità del divieto di sparare i botti di capodanno

Augurando un sereno e prolifico 2012 a tutti i lettori, vorrei analizzare una questione che ha caratterizzato l'ultimo giorno del 2011 che, personalmente, mi ha davvero colpito e fatto molto riflettere: per la prima volta in Italia, sono stati vietati i botti di capodanno il quasi 2000 comuni.

L'iniziativa è partita da comuni del Nord: Venezia e provincia prima, Torino poi fino ad estendersi alla Toscana, all'Emilia e toccando il Sud con Bari, Palermo, Ercolano e Portici. Inutile dire che la campagna anti-botti sia stata un fiasco totale e, coloro che l'hanno indetta, dovrebbero come minimo dimettersi dopo la messa in evidenza di tale mancanza di autorità da parte loro.


La campagna anti-botti è stata appoggiata da una vasta schiera di animalisti, "pacifisti", preti e questori. Per la prima volta dopo anni ed anni, viene d'improvviso fuori il problema che i botti producono inquinamento e danni alla flora e alla fauna.

Tutto d'un tratto, viene fuori il lato buono e gentile dell'Italia civile che conta. Si sono organizzati nei modi più impensati per scovare i spacciatori di fuochi illegali e coloro che infrangevano il divieto. Le pene erano salatissime multe, ma non il carcere (tenete a mente questo per il discorso che verrà dopo).

Ma le statistiche del giorno dopo parlano di quasi 700 feriti in tutta Italia e due morti, uno a Roma, l'altro a Napoli (inutile dire che i tg hanno ragionevolmente ignorato gli otto feriti di Firenze, le mutilazioni, le risse, le coltellate e le guerriglie di Genova, gli arresti per esportazione di fuochi illegali a Verona e a Milano concentrandosi esclusivamente sul morto di Napoli e del mancato rispetto del divieto a Palermo, ma non ci facciamo più caso oramai..).

Ebbene, ora vi spiego le cause del fallimento e della dannosità mascherata di questo divieto:


  • Vietare una tradizione secolare e meridionale come quella dei botti è un ulteriore danno all'industria meridionale, essendo la stragrande maggioranza delle fabbriche di fuochi d'artificio al Centro-Sud. Il resto è quasi tutto d'importazione.
  • E' un'ipocrisia bella e buona creata per accontentare l'elettorato benpensante e perbenista. I botti non inquinano più di una coda di macchine ferme per due ore in autostrada e, al contrario delle auto, possono dar vita a spettacoli indimenticabili. Non vedo tanta dedizione all'ambiente da parte di sindaci e politicanti quando si tratta di acquistare l'ennesima auto blu, l'ennesimo jet privato e quando si vogliono costruire pale eoliche, nemico giurato di uccelli e panorami; per quanto riguarda gli animali, la loro natura impone loro di nascondersi in casi di pericolo e lo sapranno fare senz'altro egregiamente altrimenti risulteranno incompatibili con la vita. Gli animali uccisi, inoltre, risultano cani e gatti investiti da auto guidate a tutta velocità o ustionati da petardi selvaggiamente legati alla coda. Ma, con tutta la rabbia necessaria nell'ascoltare notizie di tale scempio e di tale cattiveria, la causa non risulta essere dei botti, ma dell'elevata quantità di alcool che circola per locali e discoteche. Bisognerebbe vietare lo champagne semmai !
  • Avendo spiegato, a parere del sottoscritto, con sufficienza la totale inutilità e,anzi, la dannosità di aver vietato i botti (cosa che nessun Paese civile fa! Basta visualizzare le immagini del capodanno di New York, Londra e Pechino per avere una dimostrazione pratica delle mie parole), è tragicomico segnalare che si è sbagliato anche... a sbagliare. Infatti, se i sindaci di questi 2000 comuni avessero voluto vietare sul serio i botti, avrebbero dovuto dichiarare fuorilegge tutte le fabbriche di botti, anche quelli legali. In tal modo, non avrebbero potuto esistere acquirenti onesti e così, chiunque fosse stato trovato in possesso anche della più piccola miccetta, avrebbe dovuto essere punito legalmente. Ma ciò avrebbe richiesto la distribuzione di un adeguato vitalizio, o almeno della garanzia di un lavoro con le stesse condizioni, ai lavoratori delle fabbriche di fuochi, legali fino a poc'anzi, senza contare l'enorme quantità di denaro persa con il mancato introito di botti che, essendo legali, devono essere approvati dallo Stato con un guadagno da parte di quest'ultimo. Scegliendo questo principio del non-intervento, promulgando questi decreti il 30-31 dicembre, quando la stragrande maggioranza di acquirenti di botti legali ha già portato a termine le proprie compere, lo Stato ha fatto sì che i soldi derivati dall'acquisto di botti gli entrassero comunque, sommando, così, i soldi entrati con le multe assegnate ai trasgressori del divieto. E questa, da che mondo è mondo, è proprio una truffa in piena regola.
  • Se il precedente punto è accettato, è facile far venir fuori un altro punto passato sotto silenzio. Mi sta bene che si cerchi di guadagnare sfruttando gli enormi capitali che si spostano per i botti di capodanno, specialmente al Sud dove i botti sono una religione vera e propria e ad essi sono collegati simbolismi, riti e scaramanzie. Ma quale sarebbe stata la mossa di un Ministro dell'Economia coraggioso ed intelligente? Quella di legalizzare i botti dichiarati illegali. In tal modo, si toglierebbe una grossissima fetta di mercato dalle mani della camorra, i botti verrebbero prodotti a regola d'arte (e non sfruttando la manodopera nordafricana) riducendo quasi a zero le possibilità di incidenti, e lo Stato godrebbe di flussi di denaro entranti da questa nuova attività. Ma questo non salta in mente a nessuno. E' un ragionamento talmente semplice che viene in mente persino a me. Prima ero convinto che non si facessero scelte impopolari per paura di perdere la poltrona, ma ora dovrebbero essere dei tecnici al governo, disinteressati al voto...
  • Infine, per le più banali norme di psicologia inversa, non si è mai sparato tanto in tutta Italia. Ciò dovrebbe essere noto anche ad un bimbo, ma, a quanto pare, sono concetti troppo difficili da capire.

Questa vicenda è passata disgraziatamente e prevedibilmente sotto silenzio. Quasi nessuno si è reso conto della barbaria, della vera barbaria, messa in atto n quei disgraziati 2000 comuni. Fa davvero piacere sentire che tanta gente ha ragionevolmente ignorato il divieto perché ci sono delle leggi fatte per essere infrante. Anche se Socrate non sarebbe stato d'accordo...



martedì 27 dicembre 2011

La morte di Giorgio Bocca vista da un meridionale.

Due giorni fa, la sera del 25 dicembre, si è spento, all'età di 91 anni, Giorgio Bocca, giornalista, autore di vari libri e dal passato quantomeno ambiguo. Era autore di "L'inferno", libro che lo scrittore piemontese aveva completato traendo ispirazione dalle periferie degradate di Napoli; ancora nel suo "Il fuoco e la neve" aveva apostrofato Palermo in questo modo:


«(…) paesaggi meravigliosi e questa gente orrenda (…). Insomma, la gente del Sud è orrenda (…) contrasto incredibile fra alcune cose meravigliose e un’umanità spesso repellente». Una volta si sarebbe trovato in una viuzza vicino al palazzo di giustizia di Palermo: «C’era una puzza di marcio, con gente mostruosa che usciva dalle catapecchie».

Il giornalista, in un'intervista rilasciata a "Che tempo che fa", alla domanda di Fazio:"Quali sono, secondo lei, le soluzioni ai problemi del Meridione?", aveva risposto:"I leghisti dicono 'Forza Vesuvio' ", nell'indifferenza più totale di un pubblico

che avrebbe dovuto essere schierato a sinistra, nemico giurato della Lega, ma ha abbassato la testa addomesticato ad un'affermazione degna del peggior leghista solo perché il cosiddetto Bocca è "di sinistra".

Numerose sono le sue esternazioni pessimiste, dure e drastiche sul Sud, fin quasi ad arrivare al razzismo vero e proprio, ed essi sono tranquillamente reperibili in Rete, disponibili su decine di blog e video e questo post non sarà un riepilogo delle sue infelici affermazioni.

Compito, invece, di questo post sarà quello di trattare il comportamento da tenere in occasione della morte di un personaggio tanto offensivo e deprecabile. Ovviamente, la prima reazione, spinta da un istinto di giustizia primordiale, è quello dell'esultanza, della gioia selvaggia.

Ma l'esultare per la morte di un qualsiasi uomo, per quanto deprecabile sia, è un atto deprecabile quanto l'uomo stesso. Ma allora, sarebbe lecito chiedersi, è utile essere ipocriti? Bisogna "contenersi" pubblicamente ma esultare in cuor proprio? Perché sarebbe impossibile essere ipocriti con se stessi.

E, ancora, la morte è uguale per tutti? Esistono defunti migliori di altri? E' un tema molto profondo che prende origine fin dall'inizio dell'800: Thomas Gray, Antonio De Curtis in arte 'Totò', Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi e altri poeti del romanticismo scrissero poesie e carmi a proposito.

Ma, forse, nessuno di loro si soffermò sulla vita reale del defunto, basandosi esclusivamente sul ricordo che egli lascerà, sulla tomba che gli verrà dedicata. E allora io mi chiedo: tutti i morti meritano di essere celebrati con gli stessi onori indipendentemente dalla loro vita? Oppure bisogna relazionare le azioni compiute con le esequie? E' proprio vero che chi semina vento raccoglie tempesta?

Sicuramente nell'odierno modo di pensare, qualsiasi morto è glorificato, quasi santificato, oltre ogni limite. Essere defunto è sinonimo di essere stato in vita buono e giusto, l'ipocrisia ha avuto la meglio sul ricordo effettivo del defunto in questione e i difetti del deceduto vengono sistematicamente rimpiazzati dai fattori positivi, talvolta inesistenti.

Dopo la morte di un personaggio importante, famoso, viene fuori una schiera di difensori inaspettati i quali non hanno certo dedicato anima e corpo nella difesa dello stesso personaggio da vivo, così come vengono fuori critiche mosse al personaggio in questione e vengono trasformate in atti di sciacallaggio, in mancanza di rispetto per i morti e per la famiglia del morto.

E, soprattutto, il ricordo che si avrà del defunto non potrà mai essere del tutto imparziale ed obiettivo: sarà senz'altro contaminato da figure create per motivi denigratori o apologetici.

Si può dire che qualsiasi defunto ha la stessa sorte, sia esso famoso o meno. Alzi la mano chi non ha mai subito neanche un lutto familiare (e mi auguro di trovare uno sciame di mani alzate). Costoro converranno senz'altro di affermare che i difetti, gravi o meno che siano, del defunto sono stati seppelliti con lui e in famiglia si tenderà sempre a parlare bene. Chi non rispetta questa convenzione sarà considerato senz'altro, come minimo, una persona maleducata.

Questo processo è toccato a tutte le persone defunte. Considerando solo il piccolo dominio della storia recente italiana, ne sono esempi Giuseppe Garibaldi, Benito Mussolini, Cossiga, Craxi ed è toccato a Giorgio Bocca. Costui era davvero un grande giornalista, scriveva un'interessante rubrica ("L'Anti-italiano") su L'Espresso ed ha avuto un passato mirabile.

Fu un accanito fascista fin dai tempi del GUF, un antisemita e sostenitore del regime. Dopo la caduta di Mussolini nel 1943 si ritrovò partigiano e combattente della Resistenza. Trascorse i suoi ultimi anni a scrivere libretti e rubriche per vari giornali. Famoso era la sua avversione nei confronti di tutto ciò che è meridionale.

Ma tutto questo suo passato contraddittorio, queste sue scelte opposte e apparentemente inconciliabili, questa sua strada quantomeno discutibile e tortuosa da lui intrapresa e conclusa è stata puntualmente cancellata dalla critica e dal sistema mediatico.

Ora, tutti coloro che gli muovono le stesse critiche mossegli da vivo vengono considerati alla stregue di belve, di sciacalli, di gente irrispettosa della morte altrui. Con tantissima ipocrisia.

Potete star certi che la stragrande maggioranza delle persone che difendono Bocca come un idolo (mentre fino a ieri era totalmente ignorato) appartengono ad un'ideologia di sinistra deviata e giustizialista che difendono il proprio "uomo" venuto a mancare ripetendo agli scettici della grandezza di Bocca le stesse parole che sono state loro mosse mentre festeggiavano per la morte di Gheddafi o mentre si bevevano la storiella dell'esistenza, della guerra e della morte di Bin Laden.

Ed ecco che tutte queste affermazioni da me riportate confutano la massima filosofica di Shakespeare:"E' sufficiente una goccia di male per contaminare un mare di bene". La teoria riportata nello Julius Caesar appare, quindi, effettivamente verificata solo in un ristretto dominio: la morte è in grado di ribaltare quest'altalena aggiungendo bene dove il bene proprio non c'è.

E, con la morte, va via anche l'ultimo sprazzo di criticità sensata e non faziosa. I ricordi che si avranno di Bocca, di Mussolini, di Garibaldi e di qualsiasi altro defunto sono solo frutto dell' "ambiente" che ciascuno di noi frequenta.

Ma c'è ancora un altro punto da considerare. Una volta scelta la strada della sincerità (in questo caso, l'esultanza alla morte di Bocca), è giusto festeggiare ugualmente? Giorgio Bocca in questione era un assassino "virtuale". Con i suoi scritti pieni di pregiudizio e di odio verso una società sconosciuta a lui e, tutto sommato, forse migliore della sua, ha "intellettualizzato" un odio che dovrebbe essere frutto solo di tre cose: ignoranza, invidia e paura.

Lui, nella sua posizione di "intellettuale", dando peso a simili pregiudizi ha neutralizzato questi aspetti fondamentali per vincere qualsiasi tipo di razzismo. E quindi lui è davvero un grande assassino e davvero (lui sì!) un grandissimo sciacallo. Ma è giusto festeggiare mettendosi al suo livello? E' giusto criticare lui comportandosi come lui?

La risposta è negativa secondo principi morali. Ma, d'altronde, non si può negare che la morte è disuguale, è elitaria, e la morte di Bocca non può essere considerata uguale alla morte di un missionario nei Paesi poveri o di un volontario negli ospedali o nelle case di cura.

E quindi? Quindi esiste una scissione tra la "pratica" e la "teoria", nella misura in cui moltissime cose che sono giustissime in teoria, non possono avere la stessa giustizia nella pratica. La causa qual è? La causa è dell' "ambiente" frequentato da ciascuno di noi il quale limita fortemente la nostra totipotenza.

In altri termini, non è giusto festeggiare la morte di chicchessia (lo impone la morale, la religione c'entra poco) ma la sua morte non può essere considerata alla pari di tutti. Bocca era una persona inferiore. Lo era oggettivamente. Il razzista è sempre inferiore. E la sua morte di certo non addolora (o non dovrebbe addolorare) chiunque si dedichi alla sconfitta del razzismo e del pregiudizio (in generale, senza specificare l'oggetto del razzismo). Anzi. Si può affermare senza troppe contestazioni che non si sentirà affatto la sua mancanza.




lunedì 12 dicembre 2011

Il Natale di Torino e il Natale di Napoli secondo il Tg1

Domenica sera vidi un servizio del Tg1. Non mi capita spesso una tale sciagura, ma le condizioni hanno fatto sì che io abbia assaggiato una fetta di quel giornale. In particolare mi ha colpito un servizio, che doveva essere in perfetto stile "Studio Aperto"

su come si vivono le settimane pre-natalizie nelle città italiane. Le due città messe a confronto, per l'occasione, erano Torino e Napoli. Ovviamente ascolto il servizio con attenzione e sento cose che mi fanno riflettere molto.

Ho visto e sentito una Torino felice, allegra, ricca, che passa le sue settimane che precedono il Natale e Capodanno in luci, feste, panettoni, cotechini; ho visto gente torinese che va a fare un sereno, rilassato e meritato shopping dopo una dura giornata di lavoro; ho visto un'economia che va a gonfie vele, città affollate dai turisti, alberghi stracolmi per le prenotazioni che fioccano, denaro che entra, amministratori soddisfatti, che sono addirittura riusciti a sconfiggere la crisi che ha declassato Francia e Usa...

E poi ho visto e sentito la solita Napoli, squallida metropoli decaduta del Sud. Il servizio inquadrava una strada anonima, di pieno pomeriggio, deserta e con negozi chiusi (mentre a Torino si sono inquadrate le vie del centro). E via con le solite cose, il solito duopesismo:



Ho visto e sentito di gente svogliata, troppo oziosa perfino per andare a comperare i regali, troppo avara per spendere quel centesimo in più richiesta dal legittimo governo di Monti che altro non è da considerarsi se non un briciolo di tutte le ruberie del Sud a 150 anni a questa parte;

Ho visto e sentito una città attanagliata da una crisi che non lascia scampo, che non consente nemmeno il più elementare e classico shopping natalizio. Ho visto strade deserte, negozi chiusi, alberghi vuoti, turisti che abbandonano una città in ginocchio.
Insomma, Torino paragonabile ad una sviluppata città del Nord Europa che sembra immune a qualsiasi recessione e sembra non conoscere la parola 'crisi'; Napoli paragonabile a quelle metropoli del Nord Africa stravolte dalle guerre civili degli ultimi tempi e che vive una gravissima crisi dal quale non sa se ne uscirà mai.

Tale è lo scenario, lo schema perfetto delle due Italie: l'una ricca sempre sorridente, l'altra povera sempre mortificata e flagellata. E la cosa che fa riflettere non è la differenza di misure adottate per il Nord e per il Sud (ormai ci siamo assuefatti a tale scempio), ma è il fatto che

sia Torino che Napoli rappresentano, rispettivamente, la quarta e la terza città più importante d'Italia, quindi si presuppone che vivano sulla stessa barca, che siano consapevoli, coscienti e solidali nelle loro rispettive crisi. Ma i conti non tornano affatto. Torino = benessere, ricchezza e produttività e Napoli= crisi, disoccupazione e povertà è un'equazione che ammette due soluzioni:
  1. Il Tg1 ha messo in atto l'ennesima bufala della gestione Minzolini. Non è la prima volta e non sarà l'ultima. In assenza di notizie davvero importanti da dare (o troppo importanti per essere date) tutti i Tg fanno a gara a chi la spara più grossa, a chi inventa lo scoop a tutti i costi pur di non parlare dei problemi reali dell'Italia e di dare un'esca alla popolazione, la quale, puntualmente, abbocca. E gli argomenti, a ben rifletterci, non sono poi così vari: possono parlare del caso inventato di una rapina, di un furto sventato, possono riciclare una notizia di un omicidio avvenuto anni fa, possono "riadattare" un servizio di Tv inglesi e americane per far finta di parlare di estero, di guerre del petrolio in Africa e Medio Oriente. A volte la gara si trasforma a chi spara la notizia più assurda e, in questo, è una lotta senza quartiere tra Tg1 e Studio Aperto: il primo apre le danze parlando di un gatto che ha ereditato immensi patrimoni da una vecchia vedova deceduta, il secondo ben tiene dando notizie raccapriccianti riguardo l'ultimo matrimonio di una celebrità o l'ultima notizia (inventata) dell'omicidio di Sarah Scazzi, di Yara Gambirasio, di Melania Rea e di altre fiction aperte. E poi, quando la noia raggiunge lo zenit, in quelle piovose domeniche di dicembre, quando il più grande ammortizzatore sociale degli ultimi anni per quantità di lavoro regalato a giornalisti, opinionisti e politicanti, Silvio Berlusconi, è sparito definitivamente dalla circolazione, non rimane che la solita, cara, vecchia, insostituibile, Napoli. Basta un bel servizietto facile facile sull'ultimo scippo avvenuto settimane fa visto come causa di una degenerazione indelebile e inarrestabile, unito con statistiche inventate o poco attendibili che vedono tutte le metropoli italiane ed europee come Giardini dell'Eden in cui non c'è una carta in terra, non un borseggio, non una rapina e mescolato con studi, reportage e documentari che confermano la bassezza e l'inferiorità dei napoletani e la ricetta è pronta: un altro mese in cui il giornalista-sciacallo di turno potrà sfamare la sua famiglia. E poco importa se a rimetterci è una Provincia intera di quasi 4 milioni di abitanti. L'importante è aver soddisfatto il direttore. Ma, tranquilli, sono in ottima compagnia. Anche i comici, da Antonio Cornacchione a Enrico Brignano e, ultima ma non ultima, la recente battutaccia di Gene Gnocchi sulle rapine alle mogli dei calciatori, sommata ai tanti piccoli commenti di persone e media che parlano di Napoli come uno zimbello fisso, un'accozzaglia di camorra, rifiuti che vanno e vengono (mentre l'emergenza vera e propria è finita da più di un anno nel silenzio generale), disoccupazione e poca istruzione rendono Napoli ciò che è. Contribuiscono moltissimo, con questo tipo di commenti, di paroline, di "proverbi" a rovinare l'immagine della città partenopea. Se Napoli è ciò che è, la causa è da ricercarsi anche e soprattutto dall'esterno, dai continui ritratti manomessi che vengono mostrati. Poi dall'atteggiamento inadeguato di molti abitanti.
  2. La crisi non esiste per tutti, non è un fenomeno globale come lo vogliono far sembrare. Le immagini mandate in onda dal Tg1 corrispondono perfettamente alla realtà e descrivono due Italie l'una opposto dell'altra: la prima composta esclusivamente di ricchezza, benessere e felicità; la seconda solo di povertà, miseria, disoccupazione e crisi. Non è una novità. E' un andazzo che va avanti da quando l'Italia fu sciaguratamente unita, il Sud, il Regno delle Due Sicilie, Napoli rappresentavano il centro dell'economia, il fior fiore della cultura, del progresso. Una sorta di Scandinavia del XIX secolo. E fu rapinata, distrutta, depredata, saccheggiata, insultata, mortificata e denigrata da ladri tagliagole che noi siamo costretti a decantare nelle nostre feste; le medaglie, i riconoscimenti, gli onori sono riservati ad assassini senza gloria; a Torino vi è un museo in cui vengono esposte le reliquie, gli scheletri e le ossa dei briganti catturati, deportati e lasciati morire di stenti nei lager savoiardi a causa di pseudo-teorie di un tale chiamato Lombroso, scienziato che dimostrò l'inferiorità di razza, di natura della popolazione meridionale. Un vero e proprio Protocollo dei Savi di Sion. Ma è assolutamente inutile adesso ripetere tutte le testimonianze e le documentazioni che circolano tranquillamente su internet e nei libri appositi. La crisi esiste solo ed esclusivamente al Sud. Il Nord invece è una sanguisuga che spreme in continuazione il limone e lo butta via. E alla fine è lo stesso Sud ad essere etichettato come palla al piede.



Ecco, queste sono le due possibili soluzioni alla vicenda. Sinceramente non so quale delle due preferire. Ma, in ogni caso, da qui non si scappa.